mercoledì 29 settembre 2010

Un certo tipo di intimità

Jenn Ashworth
edizoni e/o
18 Euro
recensione di Paola Borraccino












  Ipnotico questo romanzo dell'autrice inglese Jenn Ashworth.
  Superato l'incipit delle prime due pagine, non proprio brillante, il racconto si insinua piano nella mente del lettore e poi rapisce completamente la sua attenzione, tenendola in ostaggio.

  L'autrice riesce a farci fare una crociera tra i fiordi della psicopatologia di questa donna: manie, pensieri intrusivi, compulsioni, meschinità, elucubrazioni e introspezioni e quant'altro si celi, normalmente, dietro parole educate e cordialità, insomma la materia di cui è fatta l'esistenza interiore. Senza censure.

  La struttura del romanzo è eccellente e sebbene la scrittura, di per sé, sia lineare, la narrazione riesce ad attrarre in maniera quasi morbosa, come la confessione di una grande peccatrice, superando, per potenza, la forza espressiva del monologo finale di Molly Bloom dell'Ulisse di Joyce (no, non sto esagerando).

   La quarta di copertina recita:
  "Quando giunge nella sua nuova casa in un tranquillo quartiere inglese, con la testa piena di propositi presi dai suoi libri sull’autostima, Annie pensa che a ventisette anni la sua vita sia finalmente iniziata. Si fissa subito su Neil, un giovane vicino di casa, scambiando la sua gentilezza per interesse sentimentale nonostante lui conviva felicemente con una modella di nome Lucy. Portando avanti il proprio programma di miglioramento personale", Annie cerca di inserirsi nel nuovo ambiente; "poco alla volta, però, emergono dettagli inquietanti del suo passato: dove sono finiti il suo ex marito e la loro figlioletta? Chi sono gli uomini che Annie ha incontrato? È una vittima della solitudine e di un’infanzia infelice oppure una pericolosa sociopatica bugiarda e con gravi disturbi mentali?


  Io risponderei che si tratta di una persona comune che, giorno dopo giorno, combatte la sua personale guerra contro i propri demoni e, dopo ogni singola battaglia, è anche costretta a presentarsi davanti al proprio comitato di pietra. Una lotta sfibrante, in cui ciascuno può riconoscersi, perché, come scrive Dostojevskij


  "Ogni uomo ha dei ricordi che racconterebbe solo agli amici. Ha anche cose nella mente che non rivelerebbe neanche agli amici, ma solo a se stesso, e in segreto. Ma ci sono altre cose che un uomo ha paura di rivelare persino a se stesso, ed ogni uomo perbene ha un certo numero di cose del genere accantonate nella mente".

Memorie dal sottosuolo


  Voto 8 +


  Consigliato a tutti coloro che vogliano curiosare nella cantina dei pensieri reconditi di un'altra persona.


  La citazione


p. 24
 ...riflettei sulle mie azioni e, ben lungi dal sentirmi rifiutata, tirai un sospiro di sollievo perché i miei piani sul lattaio erano falliti. A volte, sono giunta a capire, la vita ti è amica e ti salva da te stessa.


  p. 136
  Così ci sposammo. Ma, come dissi a Sagita, non ricordo nulla del matrimonio in sé, soltanto che dopo non ebbe più bisogno di lavorare e tutto ad un tratto lui non trovava più divertenti le cose che dicevo.


p. 161
  L'aria si era raffreddata in fretta, come se il calore dei nostri movimentati concitati avesse abbandonato la stanza, e il sudore si asciugava in una gelida pellicola sul corpo mentre Boris rimpiccioliva restituito alle dimensioni di un estraneo.

martedì 21 settembre 2010

Come piante tra i sassi

 Mariolina Venezia
Einaudi editore 2009
249 pp.
17,50 Euro









Ho notato questo titolo per la bellissima foto in bianco e nero in copertina: il bacio appassionato tra i due ragazzi esprime un trasporto genuino e non di maniera; inoltre, come si fa a non essere attratti dall'accostamento Eros (l'amore passionale) con Thanatos (la morte rappresentata con il suo simbolo universale sul portale della chiesa)?
  Il nome dell'autrice mi era già noto: avevo molto letto della sua precedente opera, Mille anni che sto qui, grazie alla quale si era aggiudicata il Premio Campiello nel 2007; avevo, tuttavia, scelto di non acquistare né leggere quella storia, perché una scorsa sommaria del testo mi aveva dato l'impressione che si trattasse di una storia abbastanza pesante. Forse mi sbagliavo, chissà?!
  Ad ogni modo, mi sono immersa nelle prime pagine del secondo romanzo di Mariolina Venezia senza pregiudizi e ... sono stata ripagata da un'ottima scoperta: dopo migliaia di descrizioni di esseri femminili,
- perennemente in preda di attacchi di shopping compulsivo,
- sull'orlo di una crisi di nervi, quando hanno prole,
- che fanno sempre mestieri che hanno a che fare con il fumoso mondo della comunicazione,
- imbranate,
- nella migliore delle ipotese nonne papere in giarrettiera che sfornano manicaretti e progetti matrimoniali per accalappiare lo strafighissimo lui, inizialmente disinteressato alle grazie della protagonista,
- che ammorbano i malcapitati amici in infinite sedute di brain storming alla ricerca della pietra filosofale che le aiuti a conquistare il succitato lui (non sia mai un lavoro serio...),

 finalmente una DONNA VERA, e che diamine! Il sostituto procuratore Imma Tataranni.

  Moglie, madre e lavoratrice che non si perde mai d'animo, perché non ha tempo. Come sanno tutte coloro che abbiano superato i venticinque anni e che si debbano districare tra le mille incombenze di una vita normale e non di un elenco di happening nella propria agenda, persino un mal di testa è un lusso che non ci si può permettere durante una giornata di ordinario tran tran domestico, figuriamoci una crisi adolescenziale!

  Tracagnotta, tignosa proprio come un pittbull che, quando si attacca, ... non molla la presa neanche se lo dividi a metà, protettiva con i deboli e instancabile nella battaglia contro gli abusi e le ingiustizie dei forti, è l'eroina delle donne che si sono stese sui libri e non sui letti dei potenti .

  Per quel che riguarda la storia, ignoro la categoria in cui debba essere annoverato, giallo tutto considerato mi sembra improprio, di sicuro al centro del racconto c'è una indagine.

  Come riporta la quarta di copertina:
  " Sotto la terra di Basilicata si stratifica la storia. I resti della Magna Grecia, ma anche ciò che la modernità non vuole. E Imma Tataranni vi inciampa mentre indaga sull'omicidio di un ragazzo poco più grande di sua figlia.... Fra un marito che la ama, una suocera che la odia e la figlia adolescente... fra idiosincrasie, pratiche da evadere e cambi del guardaroba ... e una ronda di personaggi racconta una società sull'orlo della globalizzazione ma ancora intenta a digerire il passato".

  Ben strutturata, avvincente, equilibrata, la narrazione perde colpi nelle ultime pagine, cosicché il finale appare affrettato, per il resto impeccabile.

  Voto 8-

  Consigliato a tutte le donne che non sognano di diventare veline e agli uomini con fantasia (come scrive Proust - ...lasciamo le donne belle agli uomini senza fantasia - ).


  La citazione
  p. 68

  Nei tempi successivi al solstizio d'inverno, quando la luce iniziava a crescere, il sole giallino era tutto nuovo, e i richiami degli uccelli si facevano sentire nuovamente dopo il lungo silenzio dei mesi freddi... la prendeva la gran malinconia del tempo che se ne va, e allora come una furia si attaccava al telefono e chiamava tutti i commissari della zona, riesumando i vecchi fascicoli di cui nessuno si ricordava più, spargeva il panico nelle sezioni, spronava i commessi ad allungare il passo, disperdeva i crocchi intorno alle macchinette del caffè, aggirandosi per i corridoi della Procura con la fretta di una che vuole gabbare la morte per poi trovarsela a Samarcanda.

 p. 53

  Non sembrò molto contenta di vederli e a Imma dispiacque, perché a lei quella ragazza faceva venire voglia di proteggerla. Dal fratello, dal nonno, da qualcosa di sconosciuto, o da se stessa. Le piaceva quell'essere indisponente, quel modo di stringere le labbra e non farsi scappare nulla. Ma queste non lo capivano, che la vita non è una passeggiata, e se qualcuno si azzardava a dirglielo se la prendevano con lui.

  A metà libro, poi, assolutamente imperdibile la scena di sesso matrimoniale.

  Per altri pareri si legga la recensione di Max Pagani  sul sito LibriBlog.com, di Elisabetta Bolondi sul sito sololibri.net e di Ziccardi sul sul blog omonimo .

lunedì 20 settembre 2010

Come NON scrivere un romanzo

Howard Mittelmark e Sandra Newman
Corbaccio editore 2010
218 pp.
recensione di Paola Borraccino







  Assolutamente indispensabile questo libro per gli aspiranti scrittori che vogliano avere qualche chance che il loro manoscritto non venga cestinato dopo le prime pagine!
  Come recita il sottotitolo, gli autori si sono proposti l'intento di redigere una guida per evitare gli errori più comuni, commessi da chi si cimenti per la prima volta nella stesura di un romanzo. Pratici come solo gli statunitensi sanno essere, hanno stilato un elenco, corredato puntualmente da esempi, di sciatterie, svarioni, inesattezze e veri e propri orrori stilistici, di contenuto e di ogni altro aspetto legato alla redazione di in testo.
  Howard e Newman lavorano in qualità di editors per importanti case editrici, quindi la selezione e la valutazione dei romanzi sono il loro pane quotidiano e direi che ciò emerge in maniera evidente.
  Ci sono molti manuali in commercio dello stesso genere, ma, per lo più, sono scritti da giornalisti, altri scrittori e gente dalla qualifica non meglio precisata, direi che questo è di un livello superiore.

Voto 9 (Oltre a fornire suggerimenti utili, è ben scritto ed ironico)

Consigliato non solo a coloro che abbiano scritto o stiano scrivendo un romanzo, ma anche a chi voglia diventare un lettore più consapevole; in particolare suggerisco di investire questi 18 euro a parenti e amici di aspiranti scrittori, affinché evitino ai propri cari spese di ben altro importo (per esempio per l'editoria a pagamento) o cocenti delusioni.

Citazione

Nel sito de il Libraio.it, curato dalla redazione del gruppo editoriale Mauri Spagnol di cui fa parte la casa editrice della Corbaccio, è riportata integralmente l'introduzione di "Come non scrivere un romanzo" e si può visionare la scheda completa del libro .

domenica 5 settembre 2010

Lezioni di arabo

Rossana Campo
Feltrinelli 2010
135 pp.
13 Euro
recensione di Paola Borraccino












  Soggetto buono per un porno, ottimo per un film erotico vietato ai minori. Veramente.
  A parte questo, il libro non vale molto; tant'è che l'ho letto in libreria, senza acquistarlo.
  L'autrice è italiana, ma vive da molti anni in Francia, dove ha anche ambientato la storia di questo romanzo.
  La quarta di copertina recita: "Betti vive a Parigi, è appena uscita da un divorzio e per arrotondare lo stipendio lavora nella rosticceria araba di Hassan. Tra i clienti abituali spicca Suleiman - algerino, professore in un liceo di periferia, musulmano praticante e depresso. Betti e Suleiman si guardano, si scrutano, lanciandosi occhiate di sfuggita e sperando che prima o poi uno dei due faccia un passo avanti. Ma quando finalmente si incontrano casualmente a una festa e si parlano per la prima volta entrambi rimangono delusi. Si immergono di nuovo nelle rispettive solitudini concedendosi qualche altro appuntamento. Ed è proprio la solitudine che alla fine salda il loro rapporto...".

  Pare che Rossana Campo abbia vinto un premio, per aver contribuito a promuovere il multiculturalismo e combattere il razzismo. Ora, però, non vorrei essere greve... ma se bastasse descrivere rapporti sessuali tra persone appartenenti a culture diverse, chi si è guadagnato/a le medaglie sul campo per gli sforzi resi e i risultati raggiunti nel multi-culturalismo meriterebbe il Nobel per la Pace: non scherziamo!

  La punteggiatura è pessima, i personaggi ad una sola dimensione (non specificherò quale) e la storia inconsistente.
  Mentre leggevo le prime 30 pagine, mi è venuta in mente la lezione di cinematografia che un mio amico mi fornì sui film porno. Mi disse: "Esistono due tipi di film del genere: con trama e senza."; io, naturalmente, ebbi l'ingenuità di chiedergli quale fosse la differenza ed egli mi rispose: "Nel primo l'idraulico suona la porta, la donna in vestaglia va ad aprire e l'uomo le dice - Buongiorno- e poi procede; nel secondo l'idraulico entra e procede con la donna senza neanche dire -Buongiorno-".
  Ho visto pochissimi film del genere, tuttavia abbastanza per riconoscere che la definizione del ragazzo era, tutto sommato, pertinente e corretta.
  Tornando al libro, si tratta di un racconto lungo (tempo di lettura 1 ora circa), dove l'80% dei dialoghi si svolge a letto o ha per oggetto la sfera intima; il resto è una serie di amplessi della protagonista con due partner diversi; poi niente.
  Ciò nonostante come lettura erotica raggiunge lo scopo, perché l'autrice attinge agli elementi più pregnanti dell'immaginario sessuale maschile (il lolitismo) e femminile (lo straniero, l'uomo nero, la sottomissione, il gioco sottile della violenza, il binomio tra slave e master schiava/padrone).

  Voto 8+ come libro erotico
           5 come libro di narrativa

  La citazione non la riporto, per ovvi motivi.

  Consigliato agli amanti del genere

venerdì 3 settembre 2010

Carlo Alberto Dalla Chiesa

Il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa con la moglie Emanuela Setti Carraro, insieme all'agente Domenico Russo, furono uccisi in un agguato mafioso a colpi di kalashnikov, nella strage di via Carini






  "Un servitore dello Stato di cui lo Stato prima si è servito, poi ha abbandonato per fini poco attinenti alla salvaguardia dello Stato", questo ho pensato ieri in tarda serata, mentre guardavo la puntata de La storia siamo noi, che ha ripercorso la vita del generale Dalla Chiesa (al momento della sua uccisione in carica come "super prefetto" a Palermo) e i drammatici mesi che hanno preceduto la sua uccisione.
  La redazione di Minoli, come al solito eccellente, ha ricostruito fedelmente le tappe salienti della biografia, lumeggiando bene allo stesso tempo l'uomo ed il carabiniere.
  I successi riportati da Dalla Chiesa sono troppo numerosi per essere qui elencati, ma bisogna almeno ricordare il fatto che Carlo Alberto Dalla Chiesa è considerato colui che maggiormente ha contribuito alla vittoria dello Stato contro il terrorismo.
  Proprio in virtù di ciò, l'allora Ministro dell'Interno Virginio Rognoni lo volle a capo della prefettura del capoluogo siciliano; il Vicecomandante Generale dell'Arma Dalla Chiesa ebbe delle perplessità in merito all'incarico, in quanto una prefettura come prefettura, anche se di prima classe, non gli interessava, gli interessava di più lottare contro la Mafia e i mezzi e i poteri per vincerla nell'interesse dello Stato.
  Fu convinto ad accettare, con la promessa che avrebbe avuto quanto richiesto e che lo Stato l'avrebbe sostenuto in tutto e per tutto, quindi nel maggio del 1982 assunse formalmente l'incarico; ma egli era stato inviato "in una realtà come Palermo, con gli stessi poteri del prefetto di Forlì" (come egli stesso dichiarò).
  Durante quei suoi "Cento giorni a Palermo" (si veda il film di Giuseppe Ferrara del 1984) i suoi familiari testimoniano che le sue richieste riamanevano tutte inascoltate e il Governo, soprattutto nella persona dell'allora Primo Ministro Giovanni Spadolini, ignorò le telefonate e le lettere del Prefetto palermitano, in cui Dalla Chiesa denunciava la collusione del potere politico con la Mafia, in particolare i grandi elettori democristiani della corrente andreottiana.
  Le dichiarazioni dello stesso Spadolini, interrogato dai giornalisti, sul perché non fossero state prese in considerazione con la dovuta attenzione le segnalazioni del Generale, furono imbarazzate, balbettanti e indecenti: si legga il post "Il Generale Dalla Chiesa e le mani nere della DC".
  Sempre nello stesso blog, Paese senza memoria, nel su citato post, si possono leggere le agghiaccianti risposte di Giulio Andreotti al Generale durante una conversazione, prima che Dalla Chiesa si trasferisse come Prefetto a Palermo, ma soprattutto quella data ai giornalisti del perché egli non si fosse recato al funerale ("preferisco i battesimi...").
  Intorno all'omicidio Dalla Chiesa si annodano inevitabilmente altri segreti della vita della nostra Repubblica, tra tutti il memoriale di Moro, rinvenuto nel doppio fondo di un appartamento in via Monte Nevoso, che era servito come covo di alcuni brigatisti. Tali documenti furono consegnati da il generale a Giulio Andreotti (allora Primo Ministro), ma la figlia di Emanuela Setti Carraro ha dichairato che la madre le aveva confidato che Dalla Chiesa non aveva consegnato tutte le carte rinvenute, le quali contenevano segreti estremamenti gravi, che il marito le aveva fatto giurare di non rivelare a nessuno.
  Degli stessi documenti (i cd. memoriali) parlò Mino Pecorelli, il direttore della rivista OP e amico del Generale; egli annunciò che li avrebbe pubblicati integralmente, ma fu ucciso il 20 marzo del 1979 prima che riuscisse a preparare il numero della sua rivista.
  La sorella del giornalista ucciso dichiarò che Dalla Chiesa aveva incontrato pochi giorni prima il fratello e, in quella occasione, il Generale avrebbe confidato al giornalista alcune importanti informazioni sul caso Moro, consegnandolgli documenti riguardanti il ruolo di Giulio Andreotti (fonte articolo di Repubblica 11 giugno 1993 di Giovanni Maria Bellu "E Andreotti disse: fermate Pecorelli").
  Inutile continuare, sugli anni della notte della Repubblica sono state scritte intere biblioteche ed io non ho gli strumenti certo per scoprire qualcosa di nuovo. Posso solo, come cittadina, cercare di capire cosa succede intorno a me, per questo ben vengano puntate come quelle de La storia siamo noi, che ci aiutano a coltivare il vizio della memoria!
  Per esempio oggi anche un altro blogger Carlo Cortesi ha commemorato il ventottesimo anniversario della morte del Generale, di sua moglie e dell'agente di scorta Domenico Russo, pubblicando la superba intervista che Giorgio Bocca fece a Dalla Chiesa il 10 agosto per Repubblica, in cui è descritta anche fisicamente la solitudine in cui era stato abbandonato Dalla Chiesa; le istituzioni lo avevano lasciato solo a combattere contro la mafia. Le parole del Generale sono lucidissime ed individuano responsabilità, quantomeno morali, precise e inconfutabili; sono quelle di un soldato che, mentre gli ufficiali ed il resto della truppa hanno battuto la ritirata alla chetichella, sceglie con coraggio di rimanere a combattere da solo in un avamposto sperduto, per il senso dell'onore e per difendere le istituzioni, lo Stato, la democrazia.
  Vi invito a rileggere quelle parole e a  tenere a mente i fatti, affinché poi non ci vengano a dipingere come padri della Patria le persone sbagliate.
  Penso alla testimonianza di Rita Dalla Chiesa, figlia del Generale, la quale racconta che, al termine della funzione, lei, suo fratello Nando e la sorella furono caricati su un taxi; una donna del popolo si staccò dalla folla urlante che imprecava contro il corteo dei politici presenti e si affacciò dal finestrino aperto nell'interno dell'abitacolo dell'autovettura ed in lacrime disse: "Scusateci ragazzi, ma non siamo stati noi!".
  Inquietante.

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 Dopo 32 anni dalla strage le parole del boss Riina (intercettato nel parlatoio del carcere) confermano i sospetti dei familiari del Generale: Dalla Chiesa fu ucciso da "uomini di Stato".

martedì 31 agosto 2010

Il mirto e la rosa

di Annie Messina ( Gamila Ghàli)
Sellerio editore 1982
196 pp.
10 Euro
recensione di Paola Borraccino







  Finalmente un bel libro, dopo tanti libri appena leggibili o carini, che certo non starò a recensire!
  Ospite da amici ho preso tra le mani questo piccolo oggetto, che aveva colpito la mia attenzione per la raffigurazione evidentemente orientale. Le prime pagine scorrevoli, semplici, un incipit fiabesco, stile Mille e una notte, allora ho provato ad apertura di pagina e mi sono imbattuta in una avvincente descrizione di una battaglia; sono tornata all'inizio e così ho scoperto i protagonisti.
  A questo punto ho proseguito ed ho trovato di tutto: avventura, storia, passione, elementi della cultura araba, una prosa elegante. Ero arrivata a metà, dunque ho memorizzato il capitolo seguente, con l'intenzione di ricominciare dal segno l'indomani. Poi mi sono detta: "Ancora un po' e vado ma dormire". E invece no: sono arrivata a pagina 196 per decidermi a chiudere, cioè l'ho dovuto finire, non c'è stato verso. Erano le 3.10 a.m., non so se mi spiego, è il potere che solo i buoni libri sprigionano.
  A proposito della trama vi rimando alla recensione di Fulvio Diego Papouchado , molto dettagliata; io preferisco a limitarmi a segnalare che, come è scritto nella quarta di copertina, si tratta del racconto di un amore assoluto e totale, del nostro tempo e di ogni tempo. E la rosa e il mirto simboleggiano i due protagonisti: il mirto della virilità, la rosa della fanciullezza.
  Comunque, tanto per essere chiari, è un sentimento che lega un uomo ad un adolescente. Immagino a questo punto cosa possa venire in mente, ma proprio questa è la forza di questo testo: l'autrice riesce a parlare di un argomento tra i più peculiari, senza morbosità, con delicatezza e sobrietà, forse perché è una donna.
  Di certo un uomo non avrebbe mai potuto scrivere una cosa del genere, non fosse altro per paura di essere accusato di pedofilia. Affrontare un tema così difficile significa camminare su una corda tesa su un burrone: un passo falso e sei finito.
  Annie Messina riesce a tenere il lettore in equilibrio tra il sacrosanto rispetto della purezza di un fanciullo e lo sforzo di capire cosa ci sia dietro a determinati sentimenti, il tutto con tocco lieve, persino quando descrive i lati violenti di una società conservatrice, in un'epoca lontana, che però tutto concede ai potenti (per certi versi, neanche tanto diversa dalla nostra).
  Concludo riportando le parole di Papouchado: "sembra di leggere un componimento in versi, il cui pregio, forse intenzionale, è quello di esaltare la potenza dell'amore e del dolore, ma proprio perché i sentimenti sono così marcati, netti, senza sfumature, si ha subito l'impressione, giusta, che sia solo una parabola attingente dai miti orientali".
  Proprio in quanto favola, l'opera può essere letta (oltre al non trascurabile particolare che non vi intercorrano rapporti sessuali tra i due protagonisti). Ci tengo a rilevare che una cosa è raccontare sentimenti, altra cosa è giustificare la PEDOFILIA, che è DA CONDANNARE SEMPRE, perché è una violenza esercitata contro chi è più indifeso, quindi esecrabile e vile.

  Consigliato a coloro che possiedano una cultura classica, perché chi ha letto gli autori greci può meglio apprezzare un certo tipo di narrazione.

  Voto 7 e 1/2

La citazione
p. 121
"... guardava le stelle apparire una a una nel dolce cielo d'estate, e sapeva che quando le costellazioni avessero cominciato a declinare verso l'orizzonte occidentale, nel momento in cui le forze del giorno che finisce si esauriscono e le forze del giorno nascente non si sono affermate ancora, in quel momento il fanciullo sarebbe ... "

domenica 8 agosto 2010

Il mio matrimonio combinato

Elizabeth Eslami
Newton Compton
336 pp.
14,90 Euro
recensione di Paola Borraccino








  In questi giorni (credo fino a metà agosto) nelle librerie appartenenti alle grandi catena è applicato lo sconto del 25% su alcuni titoli della Newton Compton, che come casa editrice, da sempre, porta avanti l'encomiabile politica dei prezzi piccoli per grandi libri.
  Grazie alla Newton mi sono potuta permettere il dispendioso vizio di acquistare così tanti libri: ve li ricordate le edizioni millelire su carta riciclata? C'erano anche quelle da 2000, poi i grandi tascabili da 3.500 lire e, infine, i Mammut, che raccoglievano più romanzi di uno stesso autore.
  Ho scoperto dei capolavori assoluti, qualcuno due decenni prima che li riscoprissero case editrici come l'Adelphi, che recentemente sta pubblicando Maugham a partire dai 24 euro a fronte dei 6 della Newton... ma a questo dedicherò un post tra qualche giorno.
  Torniamo al libro dell'irano-americana Eslmami, nata in South Carolina nel 1978; quindi ancora un'autrice giovane, un'annata felice quella del '78 come Baccomo e Malvadi, per esempio. Certo, negli Stati Uniti tributano il successo a chi se lo sa conquistare, fosse anche giovanissimo (emblematico il caso dell'autrice di Legacy, di Cayla Kluver), mentre a noi pare anomalo ciò che dovrebbe essere nell'ordine delle cose.
  Il romanzo d'esordio di Eslami sta trovando il favore del pubblico e della critica anche in Italia, quindi bisogna approfittare di questo sconto per portaselo in valigia oppure riporlo tra gli scaffali e leggerlo con calma una domenica sera in cui la pioggia o i primi freddi vi fanno impigrire.
  Per quanto riguarda la trama, vi consiglio semplicemente di cliccare sul booktrailer seguente.



  Nelle brevi note che si leggono sulla quarta di copertina viene reso noto al lettore che l'autrice, dopo la laurea, ha conseguito un master in scrittura creativa. Anche senza questa specificazione, si capisce che Eslami ha dimestichezza col mestiere di scrivere: le pagine scorrono, le frasi sono ordinate, le descrizioni sono pulite ed il tutto fa un po' compitino svolto bene, che talvolta non riesce ad emozionare.
  Il punto forte è dato dal racconto del senso di fallimento che innesca i sensi di colpa e la spirale perversa della frustrazione- fustigazione. La protagonista sta per raggiungere la meta, ma crolla a pochi metri dal traguardo come il povero Dorando Pietri alle Olimpiadi del 1908, il quale dopo aver percorso 42 km, stremato, non trovò la forza per coprire gli ultimi 200 metri e venne squalificato.
  A differenza dell'atleta italiano nessuno corre a sorreggere Jasmine, la protagonista del romanzo, la cui carriera universitaria si arresta a pochi mesi dal diploma (il baccalaureato). Sorge il sospetto che essa, in qualche modo, si sia autosabotata, forse per paura di confrontarsi con il mondo degli adulti, forse perché si è posta uno standard troppo alto da mantenere. Certo è che, quando torna a casa, è una barca arenata in una secca (mi sto autocitando, perdonatemi).
  Le pagine in cui si narra di come la giovane giri a vuoto, in senso materiale ed esistenziale, colgono l'universale, cioé descrivono la dimensione della stasi inquieta, dell'incapacità di trovare una via per canalizzare le proprie energie, che così vengono rivolte per l'autoriflessione ossessiva e aggrediscono lo stesso soggetto.

  Per il resto non c'è molto altro.
  Credevo che avrei trovato il retroterra della cultura della famiglia dell'autrice o, perlomeno, delle riflessioni significative sul confronto di due culture, quella statunitense e quella iraniana, la peculiare situazione degli immigrati di seconda generazione, invece niente. A differenza di Persepolis di Marjane Satrapi, lo spessore del libro è abbastanza modesto: fornisce più stimoli intellettuali un film qualsiasi di Bollywood girato negli ultimi tre anni.
  Ci sono numerose storie all'interno della trama principe, le quali avrebbero potuto costituire una raccolta di racconti a sé stanti, ma la maggior parte lasciano alquanto perplessi, perché, ad una attenta lettura, non dicono nulla. Si procede fino all'ultima pagina (le ultime 40 sono del tutto inutili) solo per capire dove l'autrice voglia portare con le ultime riflessioni, ma il finale è discutibilissimo, una soluzione di compromesso per evitare di mancare di rispetto alla propria cultura d'origine e ai valori cardine della società occidentale; naturalmente, come tutti i compromessi, lascia delusi la totalità degli interlocutori.

  Voto 7-

  Consigliato a chi si senta apatico, non riuscendo a trovare la propria strada o, comunque, sia in una fase d'impasse. La protagonista risulta talmente irritante nella sua inerzia che verrebbe voglia di averla tra le mani per scrollarla o farla svegliare a furia di ceffoni; il lettore, utilizzando tale esempio negativo, può misurare le proprie défaillance e avere la possibilità di guardarsi dall'esterno. Catartico.

  Per maggiori informazioni sull'autrice, si può consultare il blog di Elizabeth Eslami (in inglese) .

sabato 7 agosto 2010

La siciliana ribelle. The sicilian girl. Rita Atria

   Il 26 luglio 1992 si suicidava Rita Atria, non riuscendo a sopportare il peso della sua solitudine, dopo aver appreso la notizia della strage in via d'Amelio, in cui persero la vita il giudice Paolo Borsellino e la sua scorta. Quel giorno l'ultima annotazione sul diario riporta:

  "Ora che è morto Borsellino, nessuno può capire che vuoto ha lasciato nella mia vita.
Tutti hanno paura ma io l'unica cosa di cui ho paura è che lo Stato mafioso vincerà e quei poveri scemi che    combattono contro i mulini a vento saranno uccisi. Prima di combattere la mafia devi farti un auto-esame di coscienza e poi, dopo aver sconfitto la mafia dentro di te, puoi combattere la mafia che c'è nel giro dei tuoi amici, la mafia siamo noi ed il nostro modo sbagliato di comportarsi.
Borsellino, sei morto per ciò in cui credevi
ma io senza di te sono morta".


fonte: Associazione antimafie Rita Atria 
http://www.ritaatria.it/RitaAtria.aspx

  La giovane ragazza (allora appena diciottenne) era in un appartamento a Roma, lontana dalla terra natia (un paesino in provincia di Trapani), perché era stata inserita nel programma di protezione testimoni.
  A dispetto della sua giovane età, aveva compiuto la scelta più coraggiosa che possa fare una donna che ha parenti mafiosi: rompere il muro di omertà. Il gesto le costò caro, perché la madre non la perdonò mai per aver tradito "l'onore" della famiglia. La donna rinnegò la figlia e si rifiutò di vederla, persino quando la figlia giaceva morta. Solo dopo diversi mesi dalla scomparsa di Rita, accecata dall'ira, ella si recò al cimitero e, dopo aver spaccato a martellate la lapide marmorea, ruppe anche la foto della ragazza.

  La storia mi ha molto colpito perché contiene in sé speranza e tragedia, coraggio e umane debolezze, per ciò avevo dedicato un post e inserito il racconto di Carlo Lucarelli, uno stralcio di una puntata di BLU NOTTE.
  Dal 2009 questa storia è narrata in un film ed è bello sapere che più persone avranno modo di conoscere la forza della fragilità, quando anche il singolo individuo può fare la differenza.
                                                                                   
La siciliana ribelle, il film di Marco Amenta.

















da "Il venerdì di Repubblica" del 6 agosto 2010
pag. 27
Così Rita Atria, la siciliana ribelle, conquista gli USA

  "Approda in America la storia di Rita Atria, che a 18 anni denunciò al giudice Borsellino gli assassini del padre e del fratello, entrambi mafiosi. La siciliana ribelle, il film di Marco Amenta, uscito l'anno scrorso in Italia, sarà presentato oggi a New York al Film Forum, col titolo The sicilian girl, per poi essere proiettato in molte altre città".

  Pare che il film abbia riscosso successo di critica e di pubblico, la prima proiezione per paganti (preceduta da due per soli giornalisti) ha registrato il tutto esaurito al botteghino; per il resoconto si può consultare l'articolo di ieri di libero.it .

Ninni Cassarà. Morte di un commissario

"Ninni Cassarà. Morte di un commissario" è il titolo del reportage di Francesca Fagnani, andato in onda il 5 agosto 2010 scorso su Rai2, nella puntata de "La storia siamo noi", trasmessa per ricordare la figura di Ninni (Antonino) Cassarà a 25 anni dalla sua uccisione (avvenuta il 6 agosto 1985).

Una fotografia che ritrae il vicequestore Ninni Cassarà pochi mesi prima che fosse ucciso all'età di 37 anni.



















   Descritto dalle cronache dell'epoca come moderno e sfrontato, il commissario aveva eccellenti doti di dirigente (era a capo della squadra investigativa a Palermo), ma anche tutte le qualità di un ottimo poliziotto, tanto è vero che non disdegnava operazioni come la stesura manuale di un interrogatorio o il lavoro di pedinamento. Un'abnegazione incomparabile al lavoro, che divenne totalizzante negli ultimi tempi, quando egli era alla ricerca degli assassini dei colleghi caduti nella lotta contro la mafia.
  Per le sue qualità professionali e umane era molto stimato e amato dai suoi sottoposti, tanto è vero che il giovanissimo agente Roberto Antiochia, rientrò qualche giorno prima dalle ferie appositamente per fare da scorta al capo, per non lasciare il commissario solo (queste le sue parole, rivolte alla madre il giorno della sua partenza); infatti fu ucciso insieme a Cassarà nell'agguato. Tali sentimenti erano ricambiati dal funzionario, il quale per eccesso d'amore paterno commise uno sciagurato sbaglio, per coprire proprio un guaio commesso dai suoi uomini, mentre egli era altrove.
  Il 28 luglio 1985, infatti, era stato ucciso il collega e amico fraterno di Cassarà, Beppe Montana, detto Serpico, dirigente della sezione che dava la caccia ai latitanti mafiosi, di ritorno da una gita in barca in compagnia della fidanzata e di alcuni amici a Porticello, una località balneare a pochi chilometri da Palermo.
    Nei giorni immediatamente successivi, i poliziotti fermarono un giovane, appartenente ad una famiglia mafiosa, che c'erano buoni motivi di ritenere fosse stata responsabile dell'omicidio di Beppe Montana.
   Il fermato fu sottoposto ad un duro interrogatorio ed, in seguito alle percosse, morì. Ci fu un maldestro tentativo di far passare quell'omicidio per una morte naturale e questo scatenò la reazione veemente dell'opinione pubblica, sapientemente orchestrata da organi di stampa al soldo delle cosche mafiose.
   Il commissario Cassarà assunse su di sé la responsabilità dell'incidente, nonostante non fosse presente in Commissariato al momento dell'episodio e, così facendo, si alienò le simpatie dei cittadini comuni, delusi dai metodi poco democratici della Polizia. 
    Quei terribili anni sono magistralmente raccontati dal giornalista Saverio Lodato nel suo libro "Trent'anni di mafia", che io consiglio di leggere, perché è difficile parlare della storia dell'uomo Cassarà, se non si conosce il contesto in cui egli ha combattuto la sua lotta per la difesa del nostro bellissimo e sciagurato Paese.
    Infine, mi permetto di suggerire alcuni link che potrebbero servire per meglio ricostruire quegli anni.
    Dato che questa estate abbiamo si è parlato di consorterie, cricche e P3, per tenersi preparati potrebbe essere utile ripassare la storia della P2, nella puntata BLU NOTTE- Misteri italiani - L'ombra oscura della P2.
 Si veda anche il video sulla deposizione al processo Chinnici (a partire dal minuto 2.10) , basata sul rapporto 162.

In questa immagine Cassarà è accanto al giudice Giovanni Falcone a al procuratore capo Rocco Chinnici.
  Ancora su Ninni Cassarà si può leggere il post sul blog Parco dei Nebrodi
http://www.aciap.it/ninnicassara%20anniversario.pdf e il video realizzato da Gabriele Suriano .

lunedì 2 agosto 2010

La strage di Bologna

di Alex Boschetti e Anna Ciammitti
Becco giallo editore
(Collana cronaca storica)
144 pp.
15 Euro
recensione di Paola Borraccino






  Il 2 agosto si deve ricordare uno degli eventi che maggiormente ha segnato la storia della nostra giovanissima Repubblica e uno strumento perfetto è questa cronaca illustrata.
  Il lavoro dei due autori non si può considerare, infatti, un fumetto, perché ha tutto il rigore di un saggio molto ben documentato, che in più ha la forza espressiva delle illustrazioni.
  La casa editrice Becco giallo con la collana cronaca storica ha svolto un'opera meritoria, basta scorrere gli altri titoli che riguardano il mistero di Ustica, il caso di Ilaria Alpi e la strage di piazza Fontana, tanto per citarne alcuni.
  Il racconto è arricchito dall'intervento del presidente dell'associazione parenti delle vittime, da una puntuale cronologia, una ricca bibliografia e dalla preziosa prefazione di Carlo Lucarelli.
  Il testo della graphic novel (non sono sicura che sia corretto definirla tale, giacché novel richiama l'idea della fiction, invece questa è cronaca) è molto avvincente: Boschetti, pur essendo giovane (è nato nel 1977) ha già scritto un romanzo, Nera neve e lavora come sceneggiatore, per questo egli possiede gli strumenti per costruire una narrazione dal ritmo incalzante. Vero è che neanche la fervida fantasia di un romanziere sarebbe riuscita a concepire una storia così sanguinosa (causò 85 morti e oltre 200 feriti), piena di colpi di scena, mistero, complicità di insospettabili e potenti, trame oscure, quindi di per sé, una storia appassionante. Scrivo ciò non per sminuire, le capacità dei due autori, ma per metterle in evidenza; essi sono riusciti a trasmettere al lettore la vischiosità delle collusioni, la pesantezza del clima politico di quegli anni, senza tuttavia essere pedanti, fondendo magistralmente parole e immagini (le strisce di Anna Ciammitti hanno una potenza espressiva cinematografica).

 Voto per questa iniziativa editoriale 10.

  Consiglio: dovrebbe essere presente in tutte le biblioteche delle scuole medie superiori. Conoscere la Storia è un imperativo morale: ricordiamo che, nonostante siano trascorsi trent'anni dal 2 agosto 1980, non è stata fatta del tutto chiarezza su quei fatti; l'unica cosa di cui disponiamo è una sentenza, cioé una verità parziale, ma sopra ogni cosa, come sempre in Italia (e ancora e ancora e ancora) non è stata fatta giustizia.
  Addirittura quest'anno nessun esponente del Governo si è recato in visita ufficiale alla commemorazione della strage a Bologna, temendo i fischi: a tanto siamo arrivati. In italia non c'è proprio più il comune senso del pudore.

  Assolutamente imperdibili anche due documenti di grande giornalismo

la puntata sulla strage di Bologna della trasmissione "La storia siamo noi" di Giovanni Minoli

la puntata sulla strage di Bologna della trasmissione BLU NOTTE -Misteri italiani di Carlo Lucarelli.

domenica 1 agosto 2010

IL POLIZIOTTO CHE RIDE di Maj Sjöwall e Per Wahlöö

Sellerio editore 2007
(l'originale fu pubblicato a Stoccolma nel 1968
col titolo Den skrattande polisen)
12 Euro
388 pp
recensione di
Paola Borraccino





Questo libro non è un poliziesco è il poliziesco per antonomasia, nel suo genere perfetto.
  Mi è stato consigliato da un funzionario di alto grado della Polizia di Stato, anch'egli scrittore, al quale avevo chiesto un suggerimento da esperto per un giallo che fosse improntato ai più rigorosi criteri scientifici dell'indagine: quando si dice parlare con cognizione di causa.
  I due autori sono di origine svedese, ma nulla hanno a che vedere con Stieg Larsson, che non sono proprio riuscita a leggere. Essi erano compagni nella vita (lei è ancora vivente) e iniziarono la loro collaborazione subito dopo il loro matrimonio, pubblicando un romanzo all'anno fino al 1975 (anno della morte di lui), per un totale di 10 romanzi, i quali hanno per protagonisti l'ispettore Martin Beck.
  La prima edizione de Il poliziotto che ride risale all'anno 1968 ed è il quarto titolo della serie che la Sellerio sta proponendo al pubblico italiano dal 2005, grazie al quale i suoi autori vinsero il premio Edgar.
  Personalmente, ho subito riconosciuto in me i sintomi della fascinazione: dopo poche pagine ero già completamente catturata dal racconto e so già che mi comprerò tutti gli altri nove libri, a partire dal primo.
  Maj Sjöwall e Per Wahlöö descrivono il lavoro di squadra omicidi di Stoccolma., in cui l'apporto di ciascuno è necessario, e la procedura investigativa nella sua realtà, anche prosaica, fatta anche di momenti di noia, di frustrazione, di stallo, di intuizioni sbagliate, di piccoli errori e di piccoli, ma significativi progressi.
  Tutti i personaggi, a partire dal protagonista, sono colti sia nella loro dimensione professionale sia in quella domestica, pertanto si stagliano dalla pagina come uomini e donne a tutto tondo, non sono mai stereotipi di carta.
  Il punto forte della narrazione è che è sottesa al racconto del caso da risolvere la rappresentazione della società svedese di quegli anni, cioé la grande social-democrazia scandinava, sicuramente diversa dalla immagine patinata che ci è stata trasmessa. Nella nota editoriale, che precede il  "romanzo su un crimine" (sottotitolo dell'originale) sono riportate le parole di Wahlöö:  Ci proponiamo di "usare il romanzo poliziesco come uno scalpello per rompere il vaso ideologico, pauperizzato, e moralmente discutibile sedicente welfare state di tipo borghese. Vogliamo mostrare al lettore che sotto l'immagine ufficiale del welfare state c'è un altro strato in cui povertà, criminalità e brutalità sussistono sotto una luccicante superficie".
  Aggiungo un particolare della biografia degli autori: entrambi erano giornalisti, infatti si conobbero in redazione. Questo dato è importante e spiega la loro attenzione per un resoconto puntuale e veritiero e traspare nella prosa asciutta, senza mai sbavature, che pure sa coinvolgere il lettore, con un crescendo di tensione, obbligandolo a non poggiare il libro. Erano le due di notte ed io mi dicevo: "Un altro paio di pagine e mi metto a dormire, perché è tardi". Invece niente: sono stata sveglia fino alle 3.40, ora in cui sono arrivata all'ultima pagina.
  Ma così è, quando un libro è un buon libro.

 Voto: come giallo 8 - (manca solo di un pizzico di ironia che spezzi in qualche momento l'austerità del racconto); come libro per tutti 7. A differenza di Sciascia o Scerbaneco, non mi sentirei di consigliarlo a chi non ama il genere.

   La citazione
   p. 37 e 38

  - Ah, commissario...
  - Sì?
  - Uno dei morti... sembra che sia uno dei suoi uomini.
    Martin Beck strinse il ricevitore.
  - Chi?
  - Non lo so. Non è stato fatto nessun nome.
  Martin Beck buttò giù la cornetta e appoggiò la fronte alla parete. Lennart! Deve essere lui. Cosa diavolo ci faceva fuori, sotto la pioggia? Cosa diavolo doveva fare sull'autobus numero 47? No, non Kollberg, doveva esserci un errore.
  Sollevò la cornetta e compose il numero di Kollberg. Un segnale. Due. Tre. Quattro. Cinque.
  - Casa Kollberg.
  Era la voce assonnata di Gun. Martin Bck cercò di restare calmo e sembrare naturale.
  - Ciao. Lennart è lì?
  Gli parve di sentire il cigolio del letto quando lei si tirò su, e passò un'eternità prima che rispondesse.
  - No, non a letto, almeno. Credevo che fosse con te. O meglio, che tu fossi qui.
  - E' uscito insieme a me, per fare una passeggiata. Sicura che non sia in casa?
  - Forse in cucina. Aspetta che vado a vedere.
  Passò un'eternità prima che tornasse.
  - No, Martin, non è a casa.
  Adesso la sua voce era ansiosa.
  - Dove pensi che sia finito - disse. - Con questo tempo?
  - Sarà fuori a prendere una boccata d'aria. Io sono appena arrivato a casa, quindi non è fuori da molto. Non preoccuparti.
  - Devo dirgli di telefonarti, quando torna?
  Adesso sembrava più tranquilla.
  - Non è così importante. Buonanotte. Ciao.
  Riagganciò e all'improvviso sentì un freddo tale da tremare. Sollevò di nuovo la cornetta e pensò che doveva telefonare a qualcuno, per chiedere esattamente cosa fosse accaduo. Poi si decise che il modo migliore era di andare di persona sul luogo dell'incidente il prima possibile.

venerdì 30 luglio 2010

Né qui né altrove. Una notte a Bari

di Gianrico Carofiglio
Editori Laterza
(collana Contromano)
10 Euro
recensione di
Paola Borraccino





  Da poche settimane è stato pubblicato Né qui né altrove di Gianrico Carofiglio, in edizione superpocket, al prezzo di 5,90 euro.
  Vale la pena di comprare in edicola questo libricino, carino e ben scritto, soprattutto se non si vive a Bari o, al contrario, si è originari di Bari e si vive altrove.
  Io, in quanto barese follemente innamorata della sua città, mi precipitai in libreria, appena venni a conoscenza della pubblicazione della storia in questione; oltre tutto Carofiglio è un must per un abitante del capoluogo levantino. In somma, lo lessi tutto d'un fiato e... come dire? Non è facile, perché qui potrebbero fioccare commenti della serie "tutta invidia", "ma statti zitta tu che non sei nessuno" e via procedendo su questo tono. Bisogna, ciò nonostante, che dica quel che penso: il buon Carofiglio dovrebbe iniziare a rallentare il ritmo, perché inizia a dare segni di stanchezza.
  Lo standard è sempre alto, in quanto egli sa scrivere (questo è un fatto), in più è un uomo colto e brillante dalle ottime letture, così sa pescare la frase giusta, stilisticamente d'effetto, la citazione raffinata e pertinente, il commento sagace; però si nota che ha affinato una tecnica e delle volte inserisce il pilota automatico.
  Nello specifico, nel racconto scritto per Laterza, Carofiglio abbandona la veste del suo personaggio, l'avv. Guerrieri, per indossare i suoi panni, quelli dell'uomo Gianrico.
  Col pretesto di descrivere un incontro con ex compagni di liceo non rivisti per oltre 20 anni, scrive di sé (cosa che non smette mai di fare, dal momento che il suo alter ego letterario è quasi per intero sovrapponibile all'autore), ma soprattutto intona questa dichiarazione d'amore alla città.
  Percorrendo tutti i quartieri di Bari, in lungo e in largo, evoca ricordi legati a quei luoghi e che sono nel dna di tutti i baresi veraci, fin quando... (ahiaiai!) ricicla un aneddoto già raccontato in un precedente suo libro (Testimone inconsapevole). Sottovalutare un lettore è una gaffe non degna di un uno che legge Paul Valèry, mi verrebbe da dire parafrasando Graham Green.
  Tuttavia, questo è un particolare a fronte del fatto che il tutto sa di già sentito, per cui il libro è proprio furbetto, sembra scritto sulla scorta della consapevolezza che ormai il pubblico compri qualunque cosa sia firmata col marchio di fabbrica Gianrico Carofiglio, cosa che non va per niente bene e può cessare da un momento all'altro.
  Io, per esempio, dopo questo titolo, ho acquistato con una certa riluttanza Ragionevoli dubbi, il quale mi ha delusa al punto da non acquistare successivamente altri suoi libri. Infatti, l'ultima raccolta di racconti, Non esiste saggezza, mi sono limitata e sfogliarla e quanto a Le perfezioni provvisorie presumo che finirò per leggerlo "a scrocco" in libreria, come faccio per i libri che non meritano di essere acquistati e, principalmente, non meritano un posto nella mia biblioteca, stante il problema spazio di un appartamento normale.

Voto 7 + per chi non avesse mai letto un libro di Carofiglio,
6 e 1/2 in caso contrario.

La citazione
pag 32
  "...vi renderete conto di come quell'oggetto, che guardate decine di volte ogni giorno, non l'abbiate mai davvero guardato. La cosa mi era parsa divertente. Ripensandoci quella sera mi accorsi che non era affatto divertente. Mi diede i brividi. Mi diede la sensazione di essere uno che vive senza accorgersene.
  Mi fece pensare, come non mi era mai successo, al modo in cui ricordavo i fatti del passato: vedendoli come un osservatore esterno, da una posizione esterna rispetto a quella della realtà. spettatore di un me stesso estraneo e delle sue distratte esperienze".

Per chi avesse curiosità sull'autore, può consultare il sito ufficiale di Gianrico Carofiglio .
Per un parere opposto al mio si può leggere l'intervento di Vito Antonio Conte sul blog di Stefano Donno .

giovedì 29 luglio 2010

Eureka street

di Robert Mcliam Wilson
Fazi editore (II edizione tascabili marzo 2009)
414 pp
12 Euro
recensione di Paola Borraccino












  Ho notato che è esposto in evidenza nelle librerie questo romanzo irlandese, che in Italia sta trovando consenso in ritardo rispetto all'anno della sua pubblicazione (1999); mentre già dal 1996 è stato uno dei maggiori casi editoriali in Irlanda, Francia e Gran Bretagna.
  Ricordo di averlo sfogliato per la prima volta molto tempo fa e di esserne rimasta colpita, al punto da aver memorizzato il titolo, per poi acquistarlo in un secondo momento; cosa che non è stata più possibile, perché successivamente era scomparso dagli scaffali.
  Una volta che l'ho ritrovato, me lo sono portata subito a casa, sicura di aver trovato un gran bel libro.
  Il primo screening, consistente nella lettura dell'incipit e di diversi periodi scelti a caso ad apertura di pagine, mi aveva regalato un assaggio succulento e raffinato allo stesso tempo.... Ebbene, procedendo via via per i capitoli, mi sono dovuta ricredere e le mie aspettative sono state molto deluse!
  La storia è ambientata a Belfast e si svolge negli ultimi anni del secondo millennio, un arco di tempo importante per l'Irlanda del Nord. Subissati dalla valanga di notizie di tragedie, guerre, inutili trattati di pace ed efficaci cessate il fuoco, forse sfuggirà ai più che il 10 aprile 1998 venne siglato l'Accordo di Belfast (più noto come Accordo del Venerdì Santo), con il quale ebbe fine il conflitto che aveva insanguinato il Paese per decenni.
  Negli anni Settanta e Ottanta, Belfast e, in generale, tutta la regione dell'Irlanda del Nord furono infiammati da una campagna di violenza da parte degli estremisti di entrambi gli schieramenti, il paese era sull'orlo della guerra civile; il conflitto tra Unionisti (spalleggiati dal Governo del Regno Unito) e Repubblicani provocò vere e proprie stragi di civili. Delle centinaia di episodi, tra aggressioni singole, eccidi, attacchi terroristici, bombe, omicidi e attentati vari, cito solo due stragi.
  La prima avvenne il 30 gennaio del 1972, quando dei paracadutisti britannici uccisero a Derry 13 cittadini irlandesi del quartiere cattolico disarmati nella, tristemente famosa, domenica di sangue cantata dagli U2 (Bloody Sunday) e rappresentata, in una ricostruzione fedele all'originale e molto ben documentata nel film omonomo.
  La seconda fu eseguita dai repubblicani, nel tentativo di forzare il cambiamento politico attraverso la guerriglia: a Enniskillen l'8 novembre 1987 una bomba dell'IRA uccise11 civili protestanti che partecipavano ad una cerimonia per i caduti della Prima Guerra Mondiale.
  Ho ritenuto necessaria questa breve parentesi storica per inquadrare il contesto politico della vicenda narrata.
  L'autore è nato a Belfast nel 1964, per cui è cresciuto assistendo allo stillicidio di violenza della sua città, certe vicende hanno sicuramente segnato le tappe della sua vita, come, e forse più, di quelle personali. Infatti, egli racconta diversi episodi della Storia irlandese, ma, specificamente, fa parte della trama del libro la strage di Omagh*, nell'agosto del 1998, in cui persero la vita 29 (13 donne, 9 bambini e 6 uomini) a seguito dell'esplosione di una bomba, piazzata dalla Real IRA.
  Ora, è innegabile che l'autore in questi momenti dia il meglio di sé. La narrazione dei fatti, nel rispetto della documentazione storica, è piena di pathos, senza mai essere stucchevole. Mcliam Wilson ricostruisce, però, con la libertà che un romanziere può concedersi, a differenza dello storico, le ultime ore di alcune delle vittime, affinché il lettore abbia piena consapevolezza che i nomi corrispondano a persone in carne ed ossa, che fino a cinque minuti prima di morire erano ancora vive (come riportava la lapide di Jacques de La Palice, da cui l'aggettivo lapalissiano). In particolare, l'episodio della ragazza che aveva fatto l'amore la notte precedente, ricevendo la prima dichiarazione, è di una bellezza struggente, fa commuover fino alle lacrime.
  Veniamo, però, alle note di demerito.
  La storia di uno dei due protagonisti, Chuckie, è una boiata pazzesca!
  Non ci sono parole per descrivere quanto assurda sia tutta la parte che riguarda le vicissitudini lavorative di Chuckie e quelle sentimentali di sua madre; vien quasi da chiedersi se l'abbia scritte l'autore o qualcun altro in sua vece. Intere pagine che si potrebbero strappare e che sono una offesa alle piante che hanno dovuto tagliare, per ricavarci la carta su cui sono scritte.
  Il libro è così, a corrente alternata: passaggi lirici (quelli in cui è descritta la città di Belfast, per esempio) e quadretti inutili delle giornate e dei successi mirabolanti dell'amico del vero protagonista, Jake, riflessioni sociologiche sulla società di massa e della compulsione all'acquisto che copre il vuoto dell'esistenza dei diseredati del sottoproletariato urbano e dialoghi interlocutori che nulla dicono e nulla aggiungono alla storia.
  La chiudo qua, perché mi sono dilungata oltremodo.
  Riassumendo, il libro sarebbe potuto essere ottimo, ma nel complesso è appena sufficiente.

  Per un parere diverso dal mio, si può leggere la recensione entusiasta di Simona, pubblicata su Mescalina - rivista on line di arte e cultura.
  
   Voto 6

  Consigliato a chi nulla conosce della storia recente dell'Irlanda del Nord, Paese splendido, che merita un viaggio, perché i suoi paesaggi tolgono il fiato, ma fanno respirare l'anima.


La citazione
pag. 102
Era decisamente irlandese, questa ragazza, e pareva proprio che per lei io non lo sarei mai stato abbastanza.

Il suggerimento: per chi avesse curiosità sull'autore, si legga l'intervista che ha rilasciato a Paola Casella sul sito web http://www.caffeeuropa.it

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* Che la strage di cui si parla sia quella di Omagh è una mia supposizione, basata sulla successione
dei fatti riportati.

martedì 27 luglio 2010

Il re dei giochi

di Marco Malvaldi
Sellerio editore 2010
192 pp
13 Euro
recensione di Paola Borraccino













  Gustoso come un gelato zuppa inglese e caffé questo lavoro di Marco Malvaldi, pubblicato dalla Sellerio, il terzo dopo Il gioco delle tre carte e La briscola in cinque, siamo già alla serie, quindi.
  I precedenti titoli non li ho letti e mi riservo di controllare che l'autore non si ripeta, ma se anche fosse glielo possiamo anche perdonare, dal momento che Camilleri continua a stravendere descrivendo da sempre la stessa donna ad una dimensione nei suoi innumerevoli romanzi...
  Tornando all'autore de "Il re dei giochi" mi preme sottolineare che Malvaldi è nato nel 1974 e questo fa piacere: in una società gerontocratica come quella italiana finalmente trovano spazio autori giovani (Lagioia, Baccomo, Ricci, tanto per citare solo quelli che ho recensito).
  Il libro è ascrivibile alla categoria dei gialli, ma questo giallo è screziato di rosa, una indagine fondata sul pettegolezzo.

  La quarta di copertina riporta:

"Re dei giochi è il biliardo nuovo all'italiana giunto al BarLume. Ampelio il nonno, Aldo l'intellettuale, il Rimediotti pensionato di destra, e il Del Tacca del Comune (per distinguerlo da altri tre Del Tacca) vi si sono accampati e da lì sezionano con geometrica esattezza gli ultimi fatti di Pineta, tra cui il terribile incidente della statale: è morto un ragazzino e sua madre è in coma profondo; sono gli eredi di un ricchissimo costruttore. La madre è anche la segretaria di un uomo politico impegnato nella campagna elettorale. Non sembra un delitto. Manca il movente e pure l'occasione... Ma la donna muore in ospedale, uccisa in modo maldestro. E sulle iperboliche ma sapienti maldicenze dei quattro ottuagenari cala, come una mente ordinatrice, l'intuizione logica del barista Massimo, investigatore per amor di pace".

  Chi fosse alla ricerca di una trama con un meccanismo rigoroso, scelga un altro titolo.
  Questo è un libro che si legge per trascorrere un paio di ore leggere, come se si facesse una partita di burraco in spiaggia, stando attenti più alle chiacchiere dei vicini dell'ombrellone accanto piuttosto che all'andamento del gioco, è solo questo.

  Mi è venuto in mente leggendolo l'associazione con Andrea Vitali, ne La figlia del podestà, stessa ambientazione in provincia (anche se si tratta di aree geografiche diverse), dimensione corale, vizi privati e pubbliche virtù, chiacchiere di paese, i notabili del posto, tutti descritti in uno stile che non raggiunge mai vette, ma rimane pur sempre godibile. Per essere cattivi, si potrebbe dire che costoro sono gli emuli di Heinrich Mann, il quale ne La piccola città, confrontandosi con le stesse tematiche, ha raggiunto l'eccellenza.

  Questo nulla toglie alla narrazione di Malvaldi, che semmai ha il problema di essere un poco statica, dato che l'azione è confinata tra le mura del Bar Lume.
  L'altro limite è costituito dalle troppe traslitterazioni della parlata pisana.
  Quello di riportare costrutti e modi di dire della propria terra è un vezzo che sta prendendo piede negli ultimi anni, rialnciato proprio dal già citato Camilleri. Ora, io starei attenta, perché uno che vende milioni di libri in un continente (per non parlare delle trasposizioni su pellicola che fanno il giro del mondo), può permettersi di fare quello che vuole, tanto la critica coccola chi vende e i lettori sono affezionati allo stile del loro beniamino. Un esordiente dovrebbe, al contrario, non farsi prendere la mano, perché delle volte la lettura risulta appensantita, senza contare che Verga (mica l'ultima degli ignoranti come me) dosava sapientemente italiano perfetto e lingua in presa diretta.

Consigliato a coloro che hanno antipatia per i vecchietti: questi sono irresistibili come i mitici personaggi del Muppet Show e per coloro che vivono nelle metropoli ma che nutrano di nascosto nostalgia per i ritmi lenti della provincia.

La citazione:  "Anche quest'anno sembrava d'aver trovato un bell'omicidio per passare il tempo e loro vengono a rovinarti tutto".

Voto 7 - (Il libro sconta dei passaggi forzati e la struttura dell'indagine è, pur sempre, carente)



Statler e Waldorf, la coppia di uomini anziani (spettatori seduti su un palco posto alla destra dell'ipotetico proscenio del teatro di posa) i quali erano soliti commentare i contenuti dello spettacolo del Muppet Show con una vena polemica tipica del cliché dei vecchietti brontoloni, e ai quali tocca la battuta conclusiva di ogni puntata, al termine della sigla finale.
(immagine tratta dal blog Chi ha corrotto David Mills )

domenica 25 luglio 2010

Studio illegale

Federico Baccomo,
in arte DUCHESNE
Marsilio Editori
2009
17 euro
recensione di Paola Borraccino








Questo romanzo è più o meno il "riversaggio" dei post del blog http://studioillegale.splinder.com/ sul cartaceo; non è il primo caso e non sarà l'ultimo.
  Il mercato editoriale, affamato di novità, si sta buttando nel mare magnum della rete per andare a colpo sicuro. Si ritiene che un blog molto seguito da lettori debba tradursi necessariamente in un best seller ed alcuni casi sembrerebbero confermare questa ipotesi.
  Io sono contraria, perché se un testo nasce su una piattaforma è adatto ad essere fruito attraverso quel medium e non su qualsivoglia supporto.
  Pensiamo a ciò che accade con i quotidiani: le grandi testate approntano articoli diversi per il web e non riportano tout court quelli che vengono pubblicati, perché troppo pesanti e lunghi per essere letti sul monitor. Tutti sanno quanto sia più difficile mantenere la concentrazione su testi che scorrono sul pc, non per niente quando si deve studiare un testo, registrato su supporto informatico, si preferisce stamparlo.
  Ho fatto questa lunga parentesi per spiegare che il blog è più godibile e spumeggiante del libro.
  Lo stile è brioso e accattivante, ma la storia è abbastanza povera, con un finale banale e prevedibile.

  Come recita la quarta di copertina: " Andrea Campi è un professionista serio. Giovane avvocato nella sede milanese del prestigioso studio legale internazionale Flacker Grunthurst and Kopper, si occupa di importanti operazioni per conto dei più grandi colossi industriali.
...
Lavora  fino a notte fonda, mangia pizza e sushi sulla scrivania, vive con un bonsai e parla con un muro. Le giornate scorrono tra pause alla macchinetta del caffè, redazioni di contratti e riunioni interminabili, fino al giorno in cui Andrea si trova coinvolto in un nuovo progetto particolarmente delicato...".

  Ciò che è interessante del racconto è l'ambiente che descrive e la sua fauna variopinta, fatta di "avvocatume", professionisti ambiziosi e uomini e donne sempre impegnati a nascondere le proprie umane fragilità per dimostrarsi vincenti, combattivi, in una sfibrante lotta che non concede pause neanche nel privato.

   Il libro letto la prima volta è simpatico, ma non può essere letto la seconda volta.
  Sul blog della Marsilio è scritto che presto sarà tratto un film, con protagonista Fabio Volo, nei panni dell'avvocato Campi. Secondo me, non se ne sentiva il bisogno.

  Per un parere contrario al mio si legga la recensione su sul blog "Ne so abbastanza" di mfisk , avvocato d'affari.

  Consigliato ai laureati in Giurisprudenza che stessero ponderando l'eventualità di fare pratica presso uno studio legale internazionale e a coloro che siano curiosi di capire come si svolgono le trattative a certi livelli.
Comunque, una lettura da ombrellone, con dei passaggi divertenti.

Voto 6 e 1/2

La citazione
- Devi avere fiducia in me.
- Fiducia? Emily, sono un avvocato, cazzo. Io fondo la mia vita sulla mancanza di fiducia negli altri.

e la migliore in assoluto (tratta dal film Full Metal Jacket)

Qui vige l'uguaglianza, 
non conta un cazzo nessuno.

mercoledì 14 luglio 2010

Il ristorante dell'amore ritrovato

di Ito Ogawa
Neri Pozza editore 2010
191 pp
15 Euro
recensione di Paola Borraccino

  Ho scoperto questo libro per caso e l'ho comprato, nonostante parlasse di cucina, facendo veramente uno strappo alla regola: non compro nulla che faccia riferimento all'arte culinaria, perché trovo l'argomento noioso (lo so, suona come una bestemmia!).
  Ho sollevato il libro dallo scaffale, intanto perché l'autrice è giapponese; la cultura nipponica nel suo complesso mi affascina da sempre.
  La scelta si è rivelata giusta sin dalla lettura delle prime pagine, la cucina è solo un pretesto per aprire una finestra su un modo così diverso dal nostro, esotico, misterioso, quasi impenetrabile.
  La trama è essenziale, ma chiunque si sia accostato alla letteratura giapponese sa che ciò che è mirabile negli autori giapponesi è la capacità di creare frasi in un equilibrio perfettamente elegante, che ricorda l'ikebana, cioé l'arte di disporre i fiori, non tanto la storia di per sé. Ad ogni modo, una giovane donna torna nel suo paese di origine e apre un minuscolo ristorante che pare abbia il potere di riconcialiare persone che sono diventate affettivamente distanti; mentre il rapporto con sua madre continua ad essere estremamente problematico. La magia sprigiona dal cibo che la protagonista prepara con amore assoluto.
  E' un racconto delicato, da cui non ci si deve attendere forti emozioni e che, nonostante qualche ingenuità narrativa, sa essere gradevole fino all'ultima pagina.

  Consigliato a chi voglia avere qualche fotogramma del mondo oltre il sushi.

 Voto: 7

  La citazione: non c'è una frase in particolare da rilevare, perché è un libro che non è picchi; diverse, però, sono le immagini che rimangono in mente a fine lettura, grazie alla descrizioni di paesaggi reali ed interiori distribuiti in tutto il testo.

sabato 26 giugno 2010

Debito pubblico in Italia

Dietro l'angolo c'è la Grecia, se non si inverte la rotta (di collisione
verso la bancarotta dello Stato).



E per un sorriso dolce amaro

domenica 20 giugno 2010

"Riportando tutto a casa" di Nicola Lagioia

Einaudi 2009
pp. 288
20 Euro

Ho comprato questo libro, per evitare di trovarmi impreparata, qualora fosse capitato in argomento, perché è uno di quei libri che "devi" aver letto. Certo non proprio come Gomorra, ma per quel narcisismo che ti spinge a studiare anche le note di un libro, per il gusto di veder spalancare, in un attimo di pura sorpresa, le palpebre che, poco prima, si erano socchiuse, del tuo esaminatore, nella mimica facciale tipica di chi lancia una sfida.

  Ho comprato il libro con il cellophane, cosa che non faccio davvero mai.
  In somma ho fatto i compiti, perché io il libro l'ho letto, a differenza di molte recensioni che ho trovato, compilate sulla base della scheda del libro.

 Prima cosa: ho dovuto compiere uno sforzo notevole per non abbandonarlo.
Persino il tomo di oltre 900 pagine di Littel, Le benevole, non mi aveva affaticato tanto.

  Il problema principale dell'autore è che è un professionista (lavora da tanti anni nel mondo editoriali) e si vede che è un mestierante. Tra l'altro mi sorge il sospetto che non abbia voluto che qualche suo collega gli editasse il manoscritto, forte della sua esperienza, dimenticando la lezione imperitura di Cicerone "Pro domo sua": mai perorare la propria causa.
  Qualora la mia supposizione fosse sbagliata significherebbe che neanche i redattori della Einaudi sono più quelli di una volta.

  La trama non la racconto, tanto chi sta pensando di comprare un libro già la conosce, mi limiterò a dire che viene descritto una arco temporale di una decina di anni (per quanto alcune considerazioni si estendano per altri due decenni), attraverso l'ottica di un adolescente di Bari, che è anche l'io narrante e pare coincidere con l'autore, per l'uso della prima persona singolare.
  Ci sono i ricordi delle amicizie della scuola, della famiglia e dei genitori della cerchia di conoscenti del protagonista, descritti attraverso la luce livida dei neon degli anni Ottanta, puntellati da precisi riferimenti storici.

  Purtroppo Lagioia difetta della capacità di sintesi. Egli ha la voglia/presunzione di scrivere qualcosa di definitivo su quegli anni e si strugge nell'ansia di voler dire tutto.

  Inoltre è uno che quando scrive si prende molto sul serio. Ora io non sono tra coloro che ritengono che si possa scrivere tomi pensosi solo a cominciare dai sessant'anni, però bisogna sapersi anche regolare, non si può pretendere di condensare un trattato di sociologia e storia contemporanea in sette righe, con una scarsa punteggiatura.
  Ecco la punteggiatura: il secondo punto dolente di questo libro, completamente da rivedere.

 Scrivo queste considerazioni con dispiacere, perché il libro è bello, lo ripeto è una pietra grezza, ma è un problema di misura: troppo di tutto. L'autore e gli editors avrebbero dovuto "lavorare a togliere" e asciugare la prosa, ma anche la storia.
  Questa lettura è pesante, non scorre, le pagine sono troppo dense di... "cenni brevi sull'universo".
  E poi, va bene avere una prospettiva, ma sembra che si descriva la vita di un ospedale, dove tutto è patologia e la salute sembra appartenere ad un altro mondo, flebilmente evocato, ma forse inesistente: una sfilza di tragedie... e che è "I miserabili arricchiti", ma chi sei, Victor Hugo?

  Ora uno potrebbe dire, ma chi sei tu: piccola saccentella ignorante e avrebbe anche ragione! Però sono pronta a scommettere che molte persone, pur condividendo la mia opinione, non la esprimano per non esporsi e non essere tacciati di superficialità.

  Sia chiaro: il libro è notevole, ha dei passaggi che compensano lo sforzo di aver dovuto leggere pagine e pagine di descrizioni superflue.
  Perché il libro raggiungesse il posto cui legittimamente aspira, sarebbe bastato che qualcuno avesse fatto notare all'autore che stava scrivendo un romanzo e non una fiction di 10 puntate per la televisione.

Voto 7 (avrebbe potuto ottenere un 9)

Sconsigliato ai minori di trenta anni.
I ragazzi più giovani si tenessero ben alla larga da alcune pagine che possono quasi dipingere come  seduttivi percorsi di squallore.

Citazione: non sono riuscita a trovarla, una osservazione bellissima era sempre rovinata dalla frase successiva; chi la vuole se la cerchi, facendo lo sforzo di passare attraverso le 288 pagine, come ho fatto io.

sabato 8 maggio 2010

Quel che resta della libertà

-Come ti sei ridotto così?
-In due modi. A poco a poco e poi all'improvviso. 
                                                     (Hemingway)

martedì 16 febbraio 2010

Come scrivere un best seller in 57 giorni

di Luca Ricci
Editori Laterza

  

Ho acquistato il libro di Luca Ricci nonostante la copertina: sì, voglio
partire in modo volutamente improprio, perché l'argomento 
copertina è davvero ineludibile.

Ora, pur sapendo che attirerò gli strali dei grafici della Laterza, 
affermo che su questo fronte la casa editrice barese è carente. 
Per i primi casi si poteva dare l'ipotesi di un errore incidentale, 
invece l'intera collana Contromano condivide lo stesso deficit, 
per cui si tratta di un elemento connotante. Forse ciò dipende 
dal fatto che il suo prestigio Laterza lo tragga dalla lunga 
tradizione nella saggistica, dove il contenuto e 
l'autorevolezza dell'autore da soli sono alla base della scelta 
dell'acquirente.

Per i restanti generi vige, al contrario, la legge universale valida 
per tutte le merci in generale: la confezione conta, sopra tutto.

Un peccato perché un autore come Ricci rischia di essere 
non scoperto. Io avevo avuto  già occasione di apprezzare le 
sue capacità con il libro L'amore e altre forme di odio, edito 
dalla Einaudi, una raccolta di racconti veramente gustosi.

Il racconto breve è una forma espressiva in cui non è possibile 
barare: o si hanno delle doti narrative ed espressive o si mostra 
impietosamente la propria insipienza . In un romanzo l'autore 
ha l'agio di perdere tempo, scopiazzare dai grandi, essere anche 
noioso e fare qualche tirata narcisistica. Il racconto, al contrario, 
impone l'out out: o si riesce a catturare subito il lettore o lo si 
allontana, necessita una sintesi.

Ricci ha uno stile che mi fa pensare a Carver (lo scrittore 
americano di  "Vuoi star zitta, per favore?" ), ma non scimmiotta 
nessuno; ha una penna leggera, senza essere banale.

A dispetto dei suoi anni (classe 1974), Ricci è, sotto ogni 
riguardo, uno scrittore maturo che non ha niente da imparare dai 
colleghi più famosi di lui. A proposito di scrittori che vendono, 
Gianrico Carofiglio ha scritto che in "Come scrivere un best seller i
n 57 giorni" Ricci gioca intelligentemente con la letteratura e le sue nevrosi. 
Sicuramente è un commento pertinente, perché al centro di questo 
libro c'è l'industria della Cultura e tutto il circo di scrittori,
intellettuali e presunti tali, snob da salotto che mettono il proprio ombelico
al centro dell'universo e si confrontano poco e male con il reale.


IL CONSIGLIO

Sarebbe bello se fosse un blog molto consultato dagli aspiranti 
romanzieri ed imbrattaword (*), onde evitare che essi prendano 
in considerazione l'idea di  pubblicare a pagamento, pur di 
soddisfare la propria vanity press.

Lo sappiamo che nel Bel Paese coloro che hanno un libro 
nel cassetto e pensano di essere ingiustamente trascurati 
sono molto più numerosi di coloro che leggono; si rende, 
così, attuale uno dei tanti paradossi che rende l'Italia 
una Nazione anomala.

I piccoli editori, d'altro canto, vivacchiano dando alle
stampe qualunque cosa, purché le spese siano finanziate 
da altri - principalmente gli autori- ; in questo modo 
finiscono col tradire il loro ruolo, che dovrebbe essere di 
selezione dei talenti e promozione dell'arte.

Questo droga il mercato editoriale e fa sì che i titoli 
meritevoli di attenzione degli emergenti ... fatichino ad 
emergere, subissati, come sono, dalla marea di 
pubblicazioni di veline, comici, calciatori, vecchi tromboni,
politici e pattume vario. 

Anche chi scrive non si è sottratta a questo perverso 
meccanismo che specula su velleità assurde e legittime 
aspirazioni. Certo... mi hanno assicurato in molti che il mio 
libro sia piacevole: ma quante bugie si dicono per educazione 
e quieto vivere? Ahia, non sono sicura di voler sapere la 
risposta! Perché noi aspiranti vincitori del Premio Miglior 
Scrittore del Pianerottolo siamo così:
suscettibili e refrattari alle critiche.

LA CITAZIONE
Pag 56: "... concordammo sul fatto  che un best seller 
fosse un libro piacevole da leggere (a differenza dei 
libri che fosse piacevole DIRE di aver letto).

Pag 79: "".Ad un certo punto si avverte come un 
ispessimento dei sentimenti: in quel  momento si 
può smettere di subire la vita, e si può cercare
di riordinarla a nostro piacimento, secondo 
una struttura, secondo uno schema,
secondo una variazione narrativa. E' in quel 
momento che si comincia a scrivere sul serio".

Voto 7