Sellerio editore 2007
(l'originale fu pubblicato a Stoccolma nel 1968
col titolo Den skrattande polisen)
12 Euro
388 pp
recensione di
Paola Borraccino
Questo libro non è un poliziesco è il poliziesco per antonomasia, nel suo genere perfetto.
Mi è stato consigliato da un funzionario di alto grado della Polizia di Stato, anch'egli scrittore, al quale avevo chiesto un suggerimento da esperto per un giallo che fosse improntato ai più rigorosi criteri scientifici dell'indagine: quando si dice parlare con cognizione di causa.
I due autori sono di origine svedese, ma nulla hanno a che vedere con Stieg Larsson, che non sono proprio riuscita a leggere. Essi erano compagni nella vita (lei è ancora vivente) e iniziarono la loro collaborazione subito dopo il loro matrimonio, pubblicando un romanzo all'anno fino al 1975 (anno della morte di lui), per un totale di 10 romanzi, i quali hanno per protagonisti l'ispettore Martin Beck.
La prima edizione de Il poliziotto che ride risale all'anno 1968 ed è il quarto titolo della serie che la Sellerio sta proponendo al pubblico italiano dal 2005, grazie al quale i suoi autori vinsero il premio Edgar.
Personalmente, ho subito riconosciuto in me i sintomi della fascinazione: dopo poche pagine ero già completamente catturata dal racconto e so già che mi comprerò tutti gli altri nove libri, a partire dal primo.
Maj Sjöwall e Per Wahlöö descrivono il lavoro di squadra omicidi di Stoccolma., in cui l'apporto di ciascuno è necessario, e la procedura investigativa nella sua realtà, anche prosaica, fatta anche di momenti di noia, di frustrazione, di stallo, di intuizioni sbagliate, di piccoli errori e di piccoli, ma significativi progressi.
Tutti i personaggi, a partire dal protagonista, sono colti sia nella loro dimensione professionale sia in quella domestica, pertanto si stagliano dalla pagina come uomini e donne a tutto tondo, non sono mai stereotipi di carta.
Il punto forte della narrazione è che è sottesa al racconto del caso da risolvere la rappresentazione della società svedese di quegli anni, cioé la grande social-democrazia scandinava, sicuramente diversa dalla immagine patinata che ci è stata trasmessa. Nella nota editoriale, che precede il "romanzo su un crimine" (sottotitolo dell'originale) sono riportate le parole di Wahlöö: Ci proponiamo di "usare il romanzo poliziesco come uno scalpello per rompere il vaso ideologico, pauperizzato, e moralmente discutibile sedicente welfare state di tipo borghese. Vogliamo mostrare al lettore che sotto l'immagine ufficiale del welfare state c'è un altro strato in cui povertà, criminalità e brutalità sussistono sotto una luccicante superficie".
Aggiungo un particolare della biografia degli autori: entrambi erano giornalisti, infatti si conobbero in redazione. Questo dato è importante e spiega la loro attenzione per un resoconto puntuale e veritiero e traspare nella prosa asciutta, senza mai sbavature, che pure sa coinvolgere il lettore, con un crescendo di tensione, obbligandolo a non poggiare il libro. Erano le due di notte ed io mi dicevo: "Un altro paio di pagine e mi metto a dormire, perché è tardi". Invece niente: sono stata sveglia fino alle 3.40, ora in cui sono arrivata all'ultima pagina.
Ma così è, quando un libro è un buon libro.
Voto: come giallo 8 - (manca solo di un pizzico di ironia che spezzi in qualche momento l'austerità del racconto); come libro per tutti 7. A differenza di Sciascia o Scerbaneco, non mi sentirei di consigliarlo a chi non ama il genere.
La citazione
p. 37 e 38
- Ah, commissario...
- Sì?
- Uno dei morti... sembra che sia uno dei suoi uomini.
Martin Beck strinse il ricevitore.
- Chi?
- Non lo so. Non è stato fatto nessun nome.
Martin Beck buttò giù la cornetta e appoggiò la fronte alla parete. Lennart! Deve essere lui. Cosa diavolo ci faceva fuori, sotto la pioggia? Cosa diavolo doveva fare sull'autobus numero 47? No, non Kollberg, doveva esserci un errore.
Sollevò la cornetta e compose il numero di Kollberg. Un segnale. Due. Tre. Quattro. Cinque.
- Casa Kollberg.
Era la voce assonnata di Gun. Martin Bck cercò di restare calmo e sembrare naturale.
- Ciao. Lennart è lì?
Gli parve di sentire il cigolio del letto quando lei si tirò su, e passò un'eternità prima che rispondesse.
- No, non a letto, almeno. Credevo che fosse con te. O meglio, che tu fossi qui.
- E' uscito insieme a me, per fare una passeggiata. Sicura che non sia in casa?
- Forse in cucina. Aspetta che vado a vedere.
Passò un'eternità prima che tornasse.
- No, Martin, non è a casa.
Adesso la sua voce era ansiosa.
- Dove pensi che sia finito - disse. - Con questo tempo?
- Sarà fuori a prendere una boccata d'aria. Io sono appena arrivato a casa, quindi non è fuori da molto. Non preoccuparti.
- Devo dirgli di telefonarti, quando torna?
Adesso sembrava più tranquilla.
- Non è così importante. Buonanotte. Ciao.
Riagganciò e all'improvviso sentì un freddo tale da tremare. Sollevò di nuovo la cornetta e pensò che doveva telefonare a qualcuno, per chiedere esattamente cosa fosse accaduo. Poi si decise che il modo migliore era di andare di persona sul luogo dell'incidente il prima possibile.
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domenica 1 agosto 2010
martedì 27 luglio 2010
Il re dei giochi
di Marco Malvaldi
Sellerio editore 2010
192 pp
13 Euro
recensione di Paola Borraccino
Gustoso come un gelato zuppa inglese e caffé questo lavoro di Marco Malvaldi, pubblicato dalla Sellerio, il terzo dopo Il gioco delle tre carte e La briscola in cinque, siamo già alla serie, quindi.
I precedenti titoli non li ho letti e mi riservo di controllare che l'autore non si ripeta, ma se anche fosse glielo possiamo anche perdonare, dal momento che Camilleri continua a stravendere descrivendo da sempre la stessa donna ad una dimensione nei suoi innumerevoli romanzi...
Tornando all'autore de "Il re dei giochi" mi preme sottolineare che Malvaldi è nato nel 1974 e questo fa piacere: in una società gerontocratica come quella italiana finalmente trovano spazio autori giovani (Lagioia, Baccomo, Ricci, tanto per citare solo quelli che ho recensito).
Il libro è ascrivibile alla categoria dei gialli, ma questo giallo è screziato di rosa, una indagine fondata sul pettegolezzo.
La quarta di copertina riporta:
"Re dei giochi è il biliardo nuovo all'italiana giunto al BarLume. Ampelio il nonno, Aldo l'intellettuale, il Rimediotti pensionato di destra, e il Del Tacca del Comune (per distinguerlo da altri tre Del Tacca) vi si sono accampati e da lì sezionano con geometrica esattezza gli ultimi fatti di Pineta, tra cui il terribile incidente della statale: è morto un ragazzino e sua madre è in coma profondo; sono gli eredi di un ricchissimo costruttore. La madre è anche la segretaria di un uomo politico impegnato nella campagna elettorale. Non sembra un delitto. Manca il movente e pure l'occasione... Ma la donna muore in ospedale, uccisa in modo maldestro. E sulle iperboliche ma sapienti maldicenze dei quattro ottuagenari cala, come una mente ordinatrice, l'intuizione logica del barista Massimo, investigatore per amor di pace".
Chi fosse alla ricerca di una trama con un meccanismo rigoroso, scelga un altro titolo.
Questo è un libro che si legge per trascorrere un paio di ore leggere, come se si facesse una partita di burraco in spiaggia, stando attenti più alle chiacchiere dei vicini dell'ombrellone accanto piuttosto che all'andamento del gioco, è solo questo.
Mi è venuto in mente leggendolo l'associazione con Andrea Vitali, ne La figlia del podestà, stessa ambientazione in provincia (anche se si tratta di aree geografiche diverse), dimensione corale, vizi privati e pubbliche virtù, chiacchiere di paese, i notabili del posto, tutti descritti in uno stile che non raggiunge mai vette, ma rimane pur sempre godibile. Per essere cattivi, si potrebbe dire che costoro sono gli emuli di Heinrich Mann, il quale ne La piccola città, confrontandosi con le stesse tematiche, ha raggiunto l'eccellenza.
Questo nulla toglie alla narrazione di Malvaldi, che semmai ha il problema di essere un poco statica, dato che l'azione è confinata tra le mura del Bar Lume.
L'altro limite è costituito dalle troppe traslitterazioni della parlata pisana.
Quello di riportare costrutti e modi di dire della propria terra è un vezzo che sta prendendo piede negli ultimi anni, rialnciato proprio dal già citato Camilleri. Ora, io starei attenta, perché uno che vende milioni di libri in un continente (per non parlare delle trasposizioni su pellicola che fanno il giro del mondo), può permettersi di fare quello che vuole, tanto la critica coccola chi vende e i lettori sono affezionati allo stile del loro beniamino. Un esordiente dovrebbe, al contrario, non farsi prendere la mano, perché delle volte la lettura risulta appensantita, senza contare che Verga (mica l'ultima degli ignoranti come me) dosava sapientemente italiano perfetto e lingua in presa diretta.
Consigliato a coloro che hanno antipatia per i vecchietti: questi sono irresistibili come i mitici personaggi del Muppet Show e per coloro che vivono nelle metropoli ma che nutrano di nascosto nostalgia per i ritmi lenti della provincia.
La citazione: "Anche quest'anno sembrava d'aver trovato un bell'omicidio per passare il tempo e loro vengono a rovinarti tutto".
Voto 7 - (Il libro sconta dei passaggi forzati e la struttura dell'indagine è, pur sempre, carente)
Statler e Waldorf, la coppia di uomini anziani (spettatori seduti su un palco posto alla destra dell'ipotetico proscenio del teatro di posa) i quali erano soliti commentare i contenuti dello spettacolo del Muppet Show con una vena polemica tipica del cliché dei vecchietti brontoloni, e ai quali tocca la battuta conclusiva di ogni puntata, al termine della sigla finale.
(immagine tratta dal blog Chi ha corrotto David Mills )
Sellerio editore 2010
192 pp
13 Euro
recensione di Paola Borraccino
Gustoso come un gelato zuppa inglese e caffé questo lavoro di Marco Malvaldi, pubblicato dalla Sellerio, il terzo dopo Il gioco delle tre carte e La briscola in cinque, siamo già alla serie, quindi.
I precedenti titoli non li ho letti e mi riservo di controllare che l'autore non si ripeta, ma se anche fosse glielo possiamo anche perdonare, dal momento che Camilleri continua a stravendere descrivendo da sempre la stessa donna ad una dimensione nei suoi innumerevoli romanzi...
Tornando all'autore de "Il re dei giochi" mi preme sottolineare che Malvaldi è nato nel 1974 e questo fa piacere: in una società gerontocratica come quella italiana finalmente trovano spazio autori giovani (Lagioia, Baccomo, Ricci, tanto per citare solo quelli che ho recensito).
Il libro è ascrivibile alla categoria dei gialli, ma questo giallo è screziato di rosa, una indagine fondata sul pettegolezzo.
La quarta di copertina riporta:
"Re dei giochi è il biliardo nuovo all'italiana giunto al BarLume. Ampelio il nonno, Aldo l'intellettuale, il Rimediotti pensionato di destra, e il Del Tacca del Comune (per distinguerlo da altri tre Del Tacca) vi si sono accampati e da lì sezionano con geometrica esattezza gli ultimi fatti di Pineta, tra cui il terribile incidente della statale: è morto un ragazzino e sua madre è in coma profondo; sono gli eredi di un ricchissimo costruttore. La madre è anche la segretaria di un uomo politico impegnato nella campagna elettorale. Non sembra un delitto. Manca il movente e pure l'occasione... Ma la donna muore in ospedale, uccisa in modo maldestro. E sulle iperboliche ma sapienti maldicenze dei quattro ottuagenari cala, come una mente ordinatrice, l'intuizione logica del barista Massimo, investigatore per amor di pace".
Chi fosse alla ricerca di una trama con un meccanismo rigoroso, scelga un altro titolo.
Questo è un libro che si legge per trascorrere un paio di ore leggere, come se si facesse una partita di burraco in spiaggia, stando attenti più alle chiacchiere dei vicini dell'ombrellone accanto piuttosto che all'andamento del gioco, è solo questo.
Mi è venuto in mente leggendolo l'associazione con Andrea Vitali, ne La figlia del podestà, stessa ambientazione in provincia (anche se si tratta di aree geografiche diverse), dimensione corale, vizi privati e pubbliche virtù, chiacchiere di paese, i notabili del posto, tutti descritti in uno stile che non raggiunge mai vette, ma rimane pur sempre godibile. Per essere cattivi, si potrebbe dire che costoro sono gli emuli di Heinrich Mann, il quale ne La piccola città, confrontandosi con le stesse tematiche, ha raggiunto l'eccellenza.
Questo nulla toglie alla narrazione di Malvaldi, che semmai ha il problema di essere un poco statica, dato che l'azione è confinata tra le mura del Bar Lume.
L'altro limite è costituito dalle troppe traslitterazioni della parlata pisana.
Quello di riportare costrutti e modi di dire della propria terra è un vezzo che sta prendendo piede negli ultimi anni, rialnciato proprio dal già citato Camilleri. Ora, io starei attenta, perché uno che vende milioni di libri in un continente (per non parlare delle trasposizioni su pellicola che fanno il giro del mondo), può permettersi di fare quello che vuole, tanto la critica coccola chi vende e i lettori sono affezionati allo stile del loro beniamino. Un esordiente dovrebbe, al contrario, non farsi prendere la mano, perché delle volte la lettura risulta appensantita, senza contare che Verga (mica l'ultima degli ignoranti come me) dosava sapientemente italiano perfetto e lingua in presa diretta.
Consigliato a coloro che hanno antipatia per i vecchietti: questi sono irresistibili come i mitici personaggi del Muppet Show e per coloro che vivono nelle metropoli ma che nutrano di nascosto nostalgia per i ritmi lenti della provincia.
La citazione: "Anche quest'anno sembrava d'aver trovato un bell'omicidio per passare il tempo e loro vengono a rovinarti tutto".
Voto 7 - (Il libro sconta dei passaggi forzati e la struttura dell'indagine è, pur sempre, carente)
Statler e Waldorf, la coppia di uomini anziani (spettatori seduti su un palco posto alla destra dell'ipotetico proscenio del teatro di posa) i quali erano soliti commentare i contenuti dello spettacolo del Muppet Show con una vena polemica tipica del cliché dei vecchietti brontoloni, e ai quali tocca la battuta conclusiva di ogni puntata, al termine della sigla finale.
(immagine tratta dal blog Chi ha corrotto David Mills )
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