venerdì 30 luglio 2010

Né qui né altrove. Una notte a Bari

di Gianrico Carofiglio
Editori Laterza
(collana Contromano)
10 Euro
recensione di
Paola Borraccino





  Da poche settimane è stato pubblicato Né qui né altrove di Gianrico Carofiglio, in edizione superpocket, al prezzo di 5,90 euro.
  Vale la pena di comprare in edicola questo libricino, carino e ben scritto, soprattutto se non si vive a Bari o, al contrario, si è originari di Bari e si vive altrove.
  Io, in quanto barese follemente innamorata della sua città, mi precipitai in libreria, appena venni a conoscenza della pubblicazione della storia in questione; oltre tutto Carofiglio è un must per un abitante del capoluogo levantino. In somma, lo lessi tutto d'un fiato e... come dire? Non è facile, perché qui potrebbero fioccare commenti della serie "tutta invidia", "ma statti zitta tu che non sei nessuno" e via procedendo su questo tono. Bisogna, ciò nonostante, che dica quel che penso: il buon Carofiglio dovrebbe iniziare a rallentare il ritmo, perché inizia a dare segni di stanchezza.
  Lo standard è sempre alto, in quanto egli sa scrivere (questo è un fatto), in più è un uomo colto e brillante dalle ottime letture, così sa pescare la frase giusta, stilisticamente d'effetto, la citazione raffinata e pertinente, il commento sagace; però si nota che ha affinato una tecnica e delle volte inserisce il pilota automatico.
  Nello specifico, nel racconto scritto per Laterza, Carofiglio abbandona la veste del suo personaggio, l'avv. Guerrieri, per indossare i suoi panni, quelli dell'uomo Gianrico.
  Col pretesto di descrivere un incontro con ex compagni di liceo non rivisti per oltre 20 anni, scrive di sé (cosa che non smette mai di fare, dal momento che il suo alter ego letterario è quasi per intero sovrapponibile all'autore), ma soprattutto intona questa dichiarazione d'amore alla città.
  Percorrendo tutti i quartieri di Bari, in lungo e in largo, evoca ricordi legati a quei luoghi e che sono nel dna di tutti i baresi veraci, fin quando... (ahiaiai!) ricicla un aneddoto già raccontato in un precedente suo libro (Testimone inconsapevole). Sottovalutare un lettore è una gaffe non degna di un uno che legge Paul Valèry, mi verrebbe da dire parafrasando Graham Green.
  Tuttavia, questo è un particolare a fronte del fatto che il tutto sa di già sentito, per cui il libro è proprio furbetto, sembra scritto sulla scorta della consapevolezza che ormai il pubblico compri qualunque cosa sia firmata col marchio di fabbrica Gianrico Carofiglio, cosa che non va per niente bene e può cessare da un momento all'altro.
  Io, per esempio, dopo questo titolo, ho acquistato con una certa riluttanza Ragionevoli dubbi, il quale mi ha delusa al punto da non acquistare successivamente altri suoi libri. Infatti, l'ultima raccolta di racconti, Non esiste saggezza, mi sono limitata e sfogliarla e quanto a Le perfezioni provvisorie presumo che finirò per leggerlo "a scrocco" in libreria, come faccio per i libri che non meritano di essere acquistati e, principalmente, non meritano un posto nella mia biblioteca, stante il problema spazio di un appartamento normale.

Voto 7 + per chi non avesse mai letto un libro di Carofiglio,
6 e 1/2 in caso contrario.

La citazione
pag 32
  "...vi renderete conto di come quell'oggetto, che guardate decine di volte ogni giorno, non l'abbiate mai davvero guardato. La cosa mi era parsa divertente. Ripensandoci quella sera mi accorsi che non era affatto divertente. Mi diede i brividi. Mi diede la sensazione di essere uno che vive senza accorgersene.
  Mi fece pensare, come non mi era mai successo, al modo in cui ricordavo i fatti del passato: vedendoli come un osservatore esterno, da una posizione esterna rispetto a quella della realtà. spettatore di un me stesso estraneo e delle sue distratte esperienze".

Per chi avesse curiosità sull'autore, può consultare il sito ufficiale di Gianrico Carofiglio .
Per un parere opposto al mio si può leggere l'intervento di Vito Antonio Conte sul blog di Stefano Donno .

giovedì 29 luglio 2010

Eureka street

di Robert Mcliam Wilson
Fazi editore (II edizione tascabili marzo 2009)
414 pp
12 Euro
recensione di Paola Borraccino












  Ho notato che è esposto in evidenza nelle librerie questo romanzo irlandese, che in Italia sta trovando consenso in ritardo rispetto all'anno della sua pubblicazione (1999); mentre già dal 1996 è stato uno dei maggiori casi editoriali in Irlanda, Francia e Gran Bretagna.
  Ricordo di averlo sfogliato per la prima volta molto tempo fa e di esserne rimasta colpita, al punto da aver memorizzato il titolo, per poi acquistarlo in un secondo momento; cosa che non è stata più possibile, perché successivamente era scomparso dagli scaffali.
  Una volta che l'ho ritrovato, me lo sono portata subito a casa, sicura di aver trovato un gran bel libro.
  Il primo screening, consistente nella lettura dell'incipit e di diversi periodi scelti a caso ad apertura di pagine, mi aveva regalato un assaggio succulento e raffinato allo stesso tempo.... Ebbene, procedendo via via per i capitoli, mi sono dovuta ricredere e le mie aspettative sono state molto deluse!
  La storia è ambientata a Belfast e si svolge negli ultimi anni del secondo millennio, un arco di tempo importante per l'Irlanda del Nord. Subissati dalla valanga di notizie di tragedie, guerre, inutili trattati di pace ed efficaci cessate il fuoco, forse sfuggirà ai più che il 10 aprile 1998 venne siglato l'Accordo di Belfast (più noto come Accordo del Venerdì Santo), con il quale ebbe fine il conflitto che aveva insanguinato il Paese per decenni.
  Negli anni Settanta e Ottanta, Belfast e, in generale, tutta la regione dell'Irlanda del Nord furono infiammati da una campagna di violenza da parte degli estremisti di entrambi gli schieramenti, il paese era sull'orlo della guerra civile; il conflitto tra Unionisti (spalleggiati dal Governo del Regno Unito) e Repubblicani provocò vere e proprie stragi di civili. Delle centinaia di episodi, tra aggressioni singole, eccidi, attacchi terroristici, bombe, omicidi e attentati vari, cito solo due stragi.
  La prima avvenne il 30 gennaio del 1972, quando dei paracadutisti britannici uccisero a Derry 13 cittadini irlandesi del quartiere cattolico disarmati nella, tristemente famosa, domenica di sangue cantata dagli U2 (Bloody Sunday) e rappresentata, in una ricostruzione fedele all'originale e molto ben documentata nel film omonomo.
  La seconda fu eseguita dai repubblicani, nel tentativo di forzare il cambiamento politico attraverso la guerriglia: a Enniskillen l'8 novembre 1987 una bomba dell'IRA uccise11 civili protestanti che partecipavano ad una cerimonia per i caduti della Prima Guerra Mondiale.
  Ho ritenuto necessaria questa breve parentesi storica per inquadrare il contesto politico della vicenda narrata.
  L'autore è nato a Belfast nel 1964, per cui è cresciuto assistendo allo stillicidio di violenza della sua città, certe vicende hanno sicuramente segnato le tappe della sua vita, come, e forse più, di quelle personali. Infatti, egli racconta diversi episodi della Storia irlandese, ma, specificamente, fa parte della trama del libro la strage di Omagh*, nell'agosto del 1998, in cui persero la vita 29 (13 donne, 9 bambini e 6 uomini) a seguito dell'esplosione di una bomba, piazzata dalla Real IRA.
  Ora, è innegabile che l'autore in questi momenti dia il meglio di sé. La narrazione dei fatti, nel rispetto della documentazione storica, è piena di pathos, senza mai essere stucchevole. Mcliam Wilson ricostruisce, però, con la libertà che un romanziere può concedersi, a differenza dello storico, le ultime ore di alcune delle vittime, affinché il lettore abbia piena consapevolezza che i nomi corrispondano a persone in carne ed ossa, che fino a cinque minuti prima di morire erano ancora vive (come riportava la lapide di Jacques de La Palice, da cui l'aggettivo lapalissiano). In particolare, l'episodio della ragazza che aveva fatto l'amore la notte precedente, ricevendo la prima dichiarazione, è di una bellezza struggente, fa commuover fino alle lacrime.
  Veniamo, però, alle note di demerito.
  La storia di uno dei due protagonisti, Chuckie, è una boiata pazzesca!
  Non ci sono parole per descrivere quanto assurda sia tutta la parte che riguarda le vicissitudini lavorative di Chuckie e quelle sentimentali di sua madre; vien quasi da chiedersi se l'abbia scritte l'autore o qualcun altro in sua vece. Intere pagine che si potrebbero strappare e che sono una offesa alle piante che hanno dovuto tagliare, per ricavarci la carta su cui sono scritte.
  Il libro è così, a corrente alternata: passaggi lirici (quelli in cui è descritta la città di Belfast, per esempio) e quadretti inutili delle giornate e dei successi mirabolanti dell'amico del vero protagonista, Jake, riflessioni sociologiche sulla società di massa e della compulsione all'acquisto che copre il vuoto dell'esistenza dei diseredati del sottoproletariato urbano e dialoghi interlocutori che nulla dicono e nulla aggiungono alla storia.
  La chiudo qua, perché mi sono dilungata oltremodo.
  Riassumendo, il libro sarebbe potuto essere ottimo, ma nel complesso è appena sufficiente.

  Per un parere diverso dal mio, si può leggere la recensione entusiasta di Simona, pubblicata su Mescalina - rivista on line di arte e cultura.
  
   Voto 6

  Consigliato a chi nulla conosce della storia recente dell'Irlanda del Nord, Paese splendido, che merita un viaggio, perché i suoi paesaggi tolgono il fiato, ma fanno respirare l'anima.


La citazione
pag. 102
Era decisamente irlandese, questa ragazza, e pareva proprio che per lei io non lo sarei mai stato abbastanza.

Il suggerimento: per chi avesse curiosità sull'autore, si legga l'intervista che ha rilasciato a Paola Casella sul sito web http://www.caffeeuropa.it

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* Che la strage di cui si parla sia quella di Omagh è una mia supposizione, basata sulla successione
dei fatti riportati.

martedì 27 luglio 2010

Il re dei giochi

di Marco Malvaldi
Sellerio editore 2010
192 pp
13 Euro
recensione di Paola Borraccino













  Gustoso come un gelato zuppa inglese e caffé questo lavoro di Marco Malvaldi, pubblicato dalla Sellerio, il terzo dopo Il gioco delle tre carte e La briscola in cinque, siamo già alla serie, quindi.
  I precedenti titoli non li ho letti e mi riservo di controllare che l'autore non si ripeta, ma se anche fosse glielo possiamo anche perdonare, dal momento che Camilleri continua a stravendere descrivendo da sempre la stessa donna ad una dimensione nei suoi innumerevoli romanzi...
  Tornando all'autore de "Il re dei giochi" mi preme sottolineare che Malvaldi è nato nel 1974 e questo fa piacere: in una società gerontocratica come quella italiana finalmente trovano spazio autori giovani (Lagioia, Baccomo, Ricci, tanto per citare solo quelli che ho recensito).
  Il libro è ascrivibile alla categoria dei gialli, ma questo giallo è screziato di rosa, una indagine fondata sul pettegolezzo.

  La quarta di copertina riporta:

"Re dei giochi è il biliardo nuovo all'italiana giunto al BarLume. Ampelio il nonno, Aldo l'intellettuale, il Rimediotti pensionato di destra, e il Del Tacca del Comune (per distinguerlo da altri tre Del Tacca) vi si sono accampati e da lì sezionano con geometrica esattezza gli ultimi fatti di Pineta, tra cui il terribile incidente della statale: è morto un ragazzino e sua madre è in coma profondo; sono gli eredi di un ricchissimo costruttore. La madre è anche la segretaria di un uomo politico impegnato nella campagna elettorale. Non sembra un delitto. Manca il movente e pure l'occasione... Ma la donna muore in ospedale, uccisa in modo maldestro. E sulle iperboliche ma sapienti maldicenze dei quattro ottuagenari cala, come una mente ordinatrice, l'intuizione logica del barista Massimo, investigatore per amor di pace".

  Chi fosse alla ricerca di una trama con un meccanismo rigoroso, scelga un altro titolo.
  Questo è un libro che si legge per trascorrere un paio di ore leggere, come se si facesse una partita di burraco in spiaggia, stando attenti più alle chiacchiere dei vicini dell'ombrellone accanto piuttosto che all'andamento del gioco, è solo questo.

  Mi è venuto in mente leggendolo l'associazione con Andrea Vitali, ne La figlia del podestà, stessa ambientazione in provincia (anche se si tratta di aree geografiche diverse), dimensione corale, vizi privati e pubbliche virtù, chiacchiere di paese, i notabili del posto, tutti descritti in uno stile che non raggiunge mai vette, ma rimane pur sempre godibile. Per essere cattivi, si potrebbe dire che costoro sono gli emuli di Heinrich Mann, il quale ne La piccola città, confrontandosi con le stesse tematiche, ha raggiunto l'eccellenza.

  Questo nulla toglie alla narrazione di Malvaldi, che semmai ha il problema di essere un poco statica, dato che l'azione è confinata tra le mura del Bar Lume.
  L'altro limite è costituito dalle troppe traslitterazioni della parlata pisana.
  Quello di riportare costrutti e modi di dire della propria terra è un vezzo che sta prendendo piede negli ultimi anni, rialnciato proprio dal già citato Camilleri. Ora, io starei attenta, perché uno che vende milioni di libri in un continente (per non parlare delle trasposizioni su pellicola che fanno il giro del mondo), può permettersi di fare quello che vuole, tanto la critica coccola chi vende e i lettori sono affezionati allo stile del loro beniamino. Un esordiente dovrebbe, al contrario, non farsi prendere la mano, perché delle volte la lettura risulta appensantita, senza contare che Verga (mica l'ultima degli ignoranti come me) dosava sapientemente italiano perfetto e lingua in presa diretta.

Consigliato a coloro che hanno antipatia per i vecchietti: questi sono irresistibili come i mitici personaggi del Muppet Show e per coloro che vivono nelle metropoli ma che nutrano di nascosto nostalgia per i ritmi lenti della provincia.

La citazione:  "Anche quest'anno sembrava d'aver trovato un bell'omicidio per passare il tempo e loro vengono a rovinarti tutto".

Voto 7 - (Il libro sconta dei passaggi forzati e la struttura dell'indagine è, pur sempre, carente)



Statler e Waldorf, la coppia di uomini anziani (spettatori seduti su un palco posto alla destra dell'ipotetico proscenio del teatro di posa) i quali erano soliti commentare i contenuti dello spettacolo del Muppet Show con una vena polemica tipica del cliché dei vecchietti brontoloni, e ai quali tocca la battuta conclusiva di ogni puntata, al termine della sigla finale.
(immagine tratta dal blog Chi ha corrotto David Mills )

domenica 25 luglio 2010

Studio illegale

Federico Baccomo,
in arte DUCHESNE
Marsilio Editori
2009
17 euro
recensione di Paola Borraccino








Questo romanzo è più o meno il "riversaggio" dei post del blog http://studioillegale.splinder.com/ sul cartaceo; non è il primo caso e non sarà l'ultimo.
  Il mercato editoriale, affamato di novità, si sta buttando nel mare magnum della rete per andare a colpo sicuro. Si ritiene che un blog molto seguito da lettori debba tradursi necessariamente in un best seller ed alcuni casi sembrerebbero confermare questa ipotesi.
  Io sono contraria, perché se un testo nasce su una piattaforma è adatto ad essere fruito attraverso quel medium e non su qualsivoglia supporto.
  Pensiamo a ciò che accade con i quotidiani: le grandi testate approntano articoli diversi per il web e non riportano tout court quelli che vengono pubblicati, perché troppo pesanti e lunghi per essere letti sul monitor. Tutti sanno quanto sia più difficile mantenere la concentrazione su testi che scorrono sul pc, non per niente quando si deve studiare un testo, registrato su supporto informatico, si preferisce stamparlo.
  Ho fatto questa lunga parentesi per spiegare che il blog è più godibile e spumeggiante del libro.
  Lo stile è brioso e accattivante, ma la storia è abbastanza povera, con un finale banale e prevedibile.

  Come recita la quarta di copertina: " Andrea Campi è un professionista serio. Giovane avvocato nella sede milanese del prestigioso studio legale internazionale Flacker Grunthurst and Kopper, si occupa di importanti operazioni per conto dei più grandi colossi industriali.
...
Lavora  fino a notte fonda, mangia pizza e sushi sulla scrivania, vive con un bonsai e parla con un muro. Le giornate scorrono tra pause alla macchinetta del caffè, redazioni di contratti e riunioni interminabili, fino al giorno in cui Andrea si trova coinvolto in un nuovo progetto particolarmente delicato...".

  Ciò che è interessante del racconto è l'ambiente che descrive e la sua fauna variopinta, fatta di "avvocatume", professionisti ambiziosi e uomini e donne sempre impegnati a nascondere le proprie umane fragilità per dimostrarsi vincenti, combattivi, in una sfibrante lotta che non concede pause neanche nel privato.

   Il libro letto la prima volta è simpatico, ma non può essere letto la seconda volta.
  Sul blog della Marsilio è scritto che presto sarà tratto un film, con protagonista Fabio Volo, nei panni dell'avvocato Campi. Secondo me, non se ne sentiva il bisogno.

  Per un parere contrario al mio si legga la recensione su sul blog "Ne so abbastanza" di mfisk , avvocato d'affari.

  Consigliato ai laureati in Giurisprudenza che stessero ponderando l'eventualità di fare pratica presso uno studio legale internazionale e a coloro che siano curiosi di capire come si svolgono le trattative a certi livelli.
Comunque, una lettura da ombrellone, con dei passaggi divertenti.

Voto 6 e 1/2

La citazione
- Devi avere fiducia in me.
- Fiducia? Emily, sono un avvocato, cazzo. Io fondo la mia vita sulla mancanza di fiducia negli altri.

e la migliore in assoluto (tratta dal film Full Metal Jacket)

Qui vige l'uguaglianza, 
non conta un cazzo nessuno.

mercoledì 14 luglio 2010

Il ristorante dell'amore ritrovato

di Ito Ogawa
Neri Pozza editore 2010
191 pp
15 Euro
recensione di Paola Borraccino

  Ho scoperto questo libro per caso e l'ho comprato, nonostante parlasse di cucina, facendo veramente uno strappo alla regola: non compro nulla che faccia riferimento all'arte culinaria, perché trovo l'argomento noioso (lo so, suona come una bestemmia!).
  Ho sollevato il libro dallo scaffale, intanto perché l'autrice è giapponese; la cultura nipponica nel suo complesso mi affascina da sempre.
  La scelta si è rivelata giusta sin dalla lettura delle prime pagine, la cucina è solo un pretesto per aprire una finestra su un modo così diverso dal nostro, esotico, misterioso, quasi impenetrabile.
  La trama è essenziale, ma chiunque si sia accostato alla letteratura giapponese sa che ciò che è mirabile negli autori giapponesi è la capacità di creare frasi in un equilibrio perfettamente elegante, che ricorda l'ikebana, cioé l'arte di disporre i fiori, non tanto la storia di per sé. Ad ogni modo, una giovane donna torna nel suo paese di origine e apre un minuscolo ristorante che pare abbia il potere di riconcialiare persone che sono diventate affettivamente distanti; mentre il rapporto con sua madre continua ad essere estremamente problematico. La magia sprigiona dal cibo che la protagonista prepara con amore assoluto.
  E' un racconto delicato, da cui non ci si deve attendere forti emozioni e che, nonostante qualche ingenuità narrativa, sa essere gradevole fino all'ultima pagina.

  Consigliato a chi voglia avere qualche fotogramma del mondo oltre il sushi.

 Voto: 7

  La citazione: non c'è una frase in particolare da rilevare, perché è un libro che non è picchi; diverse, però, sono le immagini che rimangono in mente a fine lettura, grazie alla descrizioni di paesaggi reali ed interiori distribuiti in tutto il testo.