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martedì 16 febbraio 2010

Come scrivere un best seller in 57 giorni

di Luca Ricci
Editori Laterza

  

Ho acquistato il libro di Luca Ricci nonostante la copertina: sì, voglio
partire in modo volutamente improprio, perché l'argomento 
copertina è davvero ineludibile.

Ora, pur sapendo che attirerò gli strali dei grafici della Laterza, 
affermo che su questo fronte la casa editrice barese è carente. 
Per i primi casi si poteva dare l'ipotesi di un errore incidentale, 
invece l'intera collana Contromano condivide lo stesso deficit, 
per cui si tratta di un elemento connotante. Forse ciò dipende 
dal fatto che il suo prestigio Laterza lo tragga dalla lunga 
tradizione nella saggistica, dove il contenuto e 
l'autorevolezza dell'autore da soli sono alla base della scelta 
dell'acquirente.

Per i restanti generi vige, al contrario, la legge universale valida 
per tutte le merci in generale: la confezione conta, sopra tutto.

Un peccato perché un autore come Ricci rischia di essere 
non scoperto. Io avevo avuto  già occasione di apprezzare le 
sue capacità con il libro L'amore e altre forme di odio, edito 
dalla Einaudi, una raccolta di racconti veramente gustosi.

Il racconto breve è una forma espressiva in cui non è possibile 
barare: o si hanno delle doti narrative ed espressive o si mostra 
impietosamente la propria insipienza . In un romanzo l'autore 
ha l'agio di perdere tempo, scopiazzare dai grandi, essere anche 
noioso e fare qualche tirata narcisistica. Il racconto, al contrario, 
impone l'out out: o si riesce a catturare subito il lettore o lo si 
allontana, necessita una sintesi.

Ricci ha uno stile che mi fa pensare a Carver (lo scrittore 
americano di  "Vuoi star zitta, per favore?" ), ma non scimmiotta 
nessuno; ha una penna leggera, senza essere banale.

A dispetto dei suoi anni (classe 1974), Ricci è, sotto ogni 
riguardo, uno scrittore maturo che non ha niente da imparare dai 
colleghi più famosi di lui. A proposito di scrittori che vendono, 
Gianrico Carofiglio ha scritto che in "Come scrivere un best seller i
n 57 giorni" Ricci gioca intelligentemente con la letteratura e le sue nevrosi. 
Sicuramente è un commento pertinente, perché al centro di questo 
libro c'è l'industria della Cultura e tutto il circo di scrittori,
intellettuali e presunti tali, snob da salotto che mettono il proprio ombelico
al centro dell'universo e si confrontano poco e male con il reale.


IL CONSIGLIO

Sarebbe bello se fosse un blog molto consultato dagli aspiranti 
romanzieri ed imbrattaword (*), onde evitare che essi prendano 
in considerazione l'idea di  pubblicare a pagamento, pur di 
soddisfare la propria vanity press.

Lo sappiamo che nel Bel Paese coloro che hanno un libro 
nel cassetto e pensano di essere ingiustamente trascurati 
sono molto più numerosi di coloro che leggono; si rende, 
così, attuale uno dei tanti paradossi che rende l'Italia 
una Nazione anomala.

I piccoli editori, d'altro canto, vivacchiano dando alle
stampe qualunque cosa, purché le spese siano finanziate 
da altri - principalmente gli autori- ; in questo modo 
finiscono col tradire il loro ruolo, che dovrebbe essere di 
selezione dei talenti e promozione dell'arte.

Questo droga il mercato editoriale e fa sì che i titoli 
meritevoli di attenzione degli emergenti ... fatichino ad 
emergere, subissati, come sono, dalla marea di 
pubblicazioni di veline, comici, calciatori, vecchi tromboni,
politici e pattume vario. 

Anche chi scrive non si è sottratta a questo perverso 
meccanismo che specula su velleità assurde e legittime 
aspirazioni. Certo... mi hanno assicurato in molti che il mio 
libro sia piacevole: ma quante bugie si dicono per educazione 
e quieto vivere? Ahia, non sono sicura di voler sapere la 
risposta! Perché noi aspiranti vincitori del Premio Miglior 
Scrittore del Pianerottolo siamo così:
suscettibili e refrattari alle critiche.

LA CITAZIONE
Pag 56: "... concordammo sul fatto  che un best seller 
fosse un libro piacevole da leggere (a differenza dei 
libri che fosse piacevole DIRE di aver letto).

Pag 79: "".Ad un certo punto si avverte come un 
ispessimento dei sentimenti: in quel  momento si 
può smettere di subire la vita, e si può cercare
di riordinarla a nostro piacimento, secondo 
una struttura, secondo uno schema,
secondo una variazione narrativa. E' in quel 
momento che si comincia a scrivere sul serio".

Voto 7



sabato 3 ottobre 2009

FOTO DI CLASSE di Mario Desiati


Editore Laterza 2009
pp.133
10 Euro

Mario Desiati lavora in campo editoriale e questo emerge
chiaramente sin dalle prime battute.

Il libro è ben scritto, pulito, irreprensibile nella sintassi e
nella punteggiatura e nella scansione dei toni dei vari
capitoli ed all’interno di ciascuno delle unità narrative.

Questi stessi pregi, però, si trasformano in punti deboli, perché
comunicano nella lettura un senso di artefatto.

Chiaramente l’arte è costruzione, tuttavia la bravura dello
scrittore si misura, in parte, nella capacità di non lasciar
trasparire il lavoro della scrittura, per proiettare il lettore
emotivamente nei paesaggi descritti im-mediatamente, (vale
a dire senza mediazioni), in modo tale che risulti assente
qualunque filtro.

L’autore, nelle note finali, spiega il percorso compiuto
per trovare e raccontare le sue storie e rivela,
implicitamente, il motivo queste storie non funzionino:
contrariamente a ciò che il titolo del libro lascia immaginare,
i protagonisti dei capitoli, “gli ex compagni di classe” non gli
sono vicini, sono solo estranei di cui ha raccolto le esperienze.

Nonostante Desiati abbia regalato ai suoi personaggi
aneddoti e sfumature, per mettere in risalto le loro
personalità, gli uomini e le donne del libro rimangono
chiusi in alcune categorie e per tutti rimane un indistinto
senso di fallimento in sottofondo che non rende giustizia
alla varietà delle esperienze dei meridionali trapiantati/
spatriati/fuori sede o comunque li si voglia definire.

Tutto il libro è reso, inoltre, claustrofobico dalla
dimensione paesana ed i troppi riferimenti dialettali
contribuiscono ancora di più a restringere l’orizzonte
spirituale, che l’autore interpreta, invece, come universale.

Non ho citazioni da suggerire, sebbene le descrizioni
del paesaggio reale avvelenato dall’ILVA, il distretto
industriale siderurgico di Taranto, valga la lettura,
forse perché sta veramente a cuore all’autore
originario della provincia tarantina.

Tali passaggi del libro hanno delle punte di
lirismo notevoli, informano, commuovono e
coinvolgono. Sarebbero un perfetto commento
sonoro in un eventuale documentario-inchiesta, mentre
scorrono le immagini dei danni causati, direttamente ed
indirettamente, alla salute e all’ambiente dalle emissioni
dell’impianto, che usa una tecnologia vecchia e, nonostante
i milioni e milioni di Euro erogati dallo Stato, non ha mai
adeguato gli impianti alle norme per la sicurezza.

Voto 6+
Consigliato a chiunque viva la condizione del fuori sede,
fosse pure a casa sua.

sabato 8 agosto 2009

Refusi di Marco Cassini


recensione di
Paola Borraccino

Ci sono parole che esercitano su
di me un’attrazione irresistibile
e “Refusi”, evocando il pianeta
dell’editoria, ha centrato il
bersaglio.

Io coltivo il vizietto dell’editing virtuale.

Intendo dire che l’operazione della lettura è accompagnata da un vero e
proprio lavoro di revisione, che svolgo nel chiuso di casa mia e per
me sola.

È incoercibile la pulsione ad individuare gli errori grammaticali,
così come non posso fare a meno di controllare la punteggiatura,
lo stile, la coerenza interna del testo, le connessioni ed
i rimandi.

Dunque, il libro.

Mi ha incuriosito, banalmente, che sia stato
pubblicato da un’altra casa editrice che non fosse
la Minimum fax; poi ho pensato che alla base di
questa opzione ci fossero strategie commerciali,
legate alla capacità di distribuzione della Laterza.

Della casa editrice barese, oltre al resto, apprezzo la qualità della carta
e la dimensione dei caratteri del testo, due particolari stupidamente
subordinati ad esigenze economiche da molti editori.

Comunque, per terminare le considerazioni sulla parte fisica dell’oggetto,
la copertina è proprio brutta, senza appello: i colori sono spenti,
i disegni poco evocativi.

Ho già detto dell’argomento, che con me ha avuto gioco facile e si pone
in linea di continuità con la mission, che la Minimum fax persegue,
attraverso i laboratori, i workshop e altro, di promozione della cultura
in senso lato e dell’editoria in particolare.

Per quanto riguarda il contenuto, ho trovato simpatico il gioco
intellettuale delle citazioni nascoste e dei rimandi ad altri libri.
Ha fatto bene l’autore a non cedere al gusto epigrammatico alla fine
di ciascun paragrafo!

Ciò nonostante in alcuni paragrafi la parte finale era l'anello
debole del periodo.

Il problema maggiore, però, ritengo sia la punteggiatura.

Ci sono centinaia di manuali discordi, i linguisti litigano
aspramente, Hemingway e amici li conosciamo, ma tutto ciò non
può costituire una valida scusa per lasciare come dittatrice
inarginabile la virgola.

Alcuni periodi sbrodolano in coordinate, il punto arriva dopo
infinite apnee e, sopra ogni cosa, la sfilza di incidentali
smaglia il filo del discorso; in un paio di punti scadendo,
addirittura, in sciatteria.

Consiglierei di leggere "Refusi" in metropolitana
o in coda alla posta.

Giudizio sintetico: semplice, tuttavia non privo di spunti
interessanti per chi avesse curiosità circa il lavoro in una
casa editrice.

Voto 6/10