sabato 6 giugno 2015

La saggezza nel sangue


Non c’è remissione di peccati per i personaggi del romanzo della O’Connor, in ogni senso. Nel libro pubblicato negli Stati Uniti nel 1952 i personaggi sono franti, nel senso di spezzati.

Mi è venuta in mente una immagine vera e terribile.

   Tanti anni fa passeggiavo nel centro della mia città con una amica; improvvisamente fummo attratte dal vociare di un nutrito capannello di persone davanti a noi, intente ad osservare qualcosa che noi non potevamo scorgere dalla nostra posizione.
   Ci informammo sull’accaduto e ci risposero che una donna si era suicidata, buttandosi giù dal balcone pochissimi minuti prima, infatti non c’era la Polizia e il corpo giaceva scoperto.
  Qualcuno, scuotendo la testa, ci disse di non guardare, la mia amica accolse il suggerimento, io no.

  È difficile da spiegare: non ho mai dimenticato ciò che vidi e, allo stesso tempo, non ricordo quel che vidi. Solo una impressione di scompostezza, dove nulla era nel posto in cui ci si aspettava che fosse. Mi colpì il fatto che non ci fosse sangue o comunque pochissimo rispetto a quello che ci si sarebbe aspettati. La donna era disarticolata, come una bambola data nelle mani di una bambina troppo piccola che si diverte a smontarla.
  Mi sorpresi a pensare che fosse terribilmente maleducato da parte mia stare lì ad osservare una scena di così grande intimità, e che la donna se avesse potuto parlare mi avrebbe rimproverato per quella mancanza di rispetto. Mi feci da parte e nello stesso tempo sopraggiunse una donna, bassa, con le braccia forti e i modi spicci. Allontanò bruscamente i curiosi e con un unico gesto rapido e sicuro, da casalinga professionista, stese un “velo pietoso”, un suo lenzuolo fresco di bucato e stirato.
  Quella donna era una estranea, dall’aspetto mostrava di essere di una fascia sociale bassa, ma era andata diretta nel cassetto delle sue cose e aveva sacrificato un pezzo “buono” del corredo, colorato con i fiorellini. Ricordo quei fiorellini arancioni in maniera nitida.

Ecco, qui non c’è pietà né umanità.
  In questa edizione di Garzanti del 1985 è pubblicato un saggio di Fernanda Pivano, la quale, correttamente, scrive che i personaggi “oscillano fra il senso del nulla e il disgusto per i propri corpi e il mondo naturale. Il lettore, sin dalla prima scena, è posto davanti ad uno spettacolo di sola bruttezza. Non vi sono madri e figli, sorelle e fratelli, mogli e mariti, la sola parentela che si scorge è quella tra uomini e porci.

Nella nota alla seconda edizione del libro, a dieci anni dalla pubblicazione, l’autrice ci informa che “La saggezza nel sangue” è un «romanzo comico ...; che il libro fu scritto di gusto e, se possibile, bisognerebbe leggerlo dello stesso umore». Ebbene, qualche libro credo di averlo letto nelle mie tanti notti insonni e vi assicuro che in pochissimi altri casi ho dovuto superare un senso di repulsione profonda e comunque di desiderio di andare fino in fondo; neanche per le 900 e passa pagine sul nazismo di Littel o un libro che affrontava il problema della pedofilia.

Questo libro è violento come una bestemmia in chiesa. È blasfemo. Disperato.
  Il protagonista Hazel Motes è un giovane reduce, che predica la «Chiesa della Verità senza Gesù Cristo Crocifisso”; sullo sfondo di paesaggi assolati, in ambienti allucinati, ostili. Una umanità miserrima, dove forse (e sottolineo forse) un bagliore fioco, un lumicino, si intravvede nel finale, quando la signora Flood, affezionata e innamorata di Haze, vorrebbe prendersi cura dell’uomo, nell’unico e tardivo gesto non biecamente egoistico dell’intera narrazione.

Flannery O’Connor ci teneva ad essere annoverata tra gli scrittori cattolici. Pare che fosse estremamente ortodossa nella sua adesione al cattolicesimo, ma questo libro per un cattolico apostolico romano è insostenibile. Provoca la stessa insofferenza che instillerebbe la visione di persone che insozzassero un’Ostia consacrata: il prurito nelle mani, quella voglia di prendere a pugni qualcuno, pur di farlo smettere.

   Al che uno potrebbe replicare a questo punto: dunque perché attraversare questa esibizione di miseria umana?
  Me lo sono domandata più volte in questi giorni, poi ho capito.
  Intanto perché è scritto in maniera superlativa, una potenza espressiva tra Faulkner, Steinbeck e Saigon (*), l’autrice di Bonjour Tristesse, che, per inciso, O’Connol riteneva non sapesse scrivere (!). Questo, però,è il motivo meno importante.

Il vero motivo è nella poesia di Ungaretti: nulla ci fa apprezzare la vita quanto la vicinanza del suo contrario. Sicché ci si tuffa nel nitore e nella razionalità della fede con rinnovata sete; il Vangelo è ancora più abbagliante nella sua Bellezza. La bellezza della Verità.

 
La citazione

“Chiuse gli occhi e vide il puntino di luce ma a lontananza così remota che non poté trattenerlo saldo nella mente. Ebbe il senso di venir bloccata davanti all’ingresso di qualcosa. Rimase a guardar fisso, a occhi chiusi...".
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Bonjour tristesse è un capolavoro assoluto; Flannery O'Connor si sbagliava.

La poesia di Ungaretti

"Veglia"

Un'intera nottata
buttato vicino
a un compagno
massacrato
con la sua bocca
digrignata
volta al plenilunio
con la congestione
delle sue mani
penetrata
nel silenzio
ho scritto
lettere piene d'amore

Non sono mai stato
tanto
attaccato alla vita.

sabato 21 settembre 2013

Rosario Livatino, non un giudice ragazzino, ma un grande uomo

La mattina del 21 settembre 1990 veniva ucciso Rosario Livatino.

Rosario Angelo Livatino
Una figura umana e professionale di grandissimo valore, non per niente la Mafia per arrestare l'impegno dell'incorruttibile magistrato decise di eliminarlo.
Si affida il ricordo di questo straordinario italiano alle parole attualissime del giudice Paolo Borsellino.

Si può leggere sul web su Livatino:
la biografia (dal sito Giustizia carità);
Lo scomodo "giudice ragazzino" che aveva infastidito Cossiga (dal sito Avvocati senza frontiere)
le parole di Cossiga nel giorno dell'assassinio il 21 settembre 1990;
Nando Dalla Chiesa: "Sarò onesto, Cossiga non mi mancherà";
la riedizione degli scritti del magistrato: "Non di pochi, ma di tanti" (sottotitolo Riflesioni intorno alla giustizia) di Rosario Angelo Livatino;
l'intervento di Livatino durante la conferenza "Fede e diritto" (dal sito www.giustiziacarita.it);
l'intervento di Livatino nella conferenza nel 1984 "Il ruolo del giudice nella società che cambia" (dal sito solfano.it)
.

domenica 18 agosto 2013

A CHI ESITA (Bertolt Brecht)


 (Traduzione: "L'unica lotta che si perde è quella che si abbandona")
Dici:
per noi va male. Il buio
cresce. Le forze scemano.
Dopo che si è lavorato tanti anni
noi siamo ora in una condizione
più difficile di quando
si era appena cominciato.

E il nemico ci sta innanzi
più potente che mai.
Sembra gli siano cresciute le forze. Ha preso
una apparenza invincibile.
E noi abbiamo commesso degli errori,
non si può negarlo.
Siamo sempre di meno. Le nostre
parole d’ordine sono confuse. Una parte
delle nostre parole
le ha stravolte il nemico fino a renderle
irriconoscibili.

Che cosa è errato ora, falso, di quel che abbiamo detto?
Qualcosa o tutto? Su chi
contiamo ancora? Siamo dei sopravvissuti, respinti
via dalla corrente? Resteremo indietro, senza
comprendere più nessuno e da nessuno compresi?

O contare sulla buona sorte?

Questo tu chiedi. Non aspettarti
nessuna risposta
oltre la tua.

Bertolt Brecht, “A chi esita”
Traduzione di Franco Fortini
(Via Roberto Andò)

domenica 23 dicembre 2012

Buoni acquisti e buone letture

Dicembre è il mese clou delle vendite per il settore editoriale, molti, infatti, sono coloro che scelgono un libro come dono natalizio; tuttavia, affinché il dono risulti gradito, occorre che esso rispecchi i gusti del ricevente e non del donante.
   Suggerisco di informarvi sulla lista dei desideri o sugli autori preferiti della persona per la quale state effettuando l'acquisto e dopo comunque optare per un buono da spendere in una libreria ben fornita. Forse una busta è meno pittoresca di un bel pacchettino sotto l'albero, ma almeno eviterete che il 27 dicembre il vostro amico/parente/conoscente sia costretto a fare la fila per cambiare il libro in questione!
   Vi voglio dare un consiglio: se proprio volete rischiare di scegliere un titolo random, perché non conoscete le letture del destinatario, fatevi consigliare da un commesso un long seller, cioè un libro che continua ad essere venduto negli anni; in genere i best seller e gli ultimi arrivi messi in evidenza sugli scaffali si rivelano delle "sole" o dei polpettoni indegeribili. Sarei curiosa di sapere, ad esempio, in quanti abbiano terminato la lettura de "La solitudine dei numeri primi" o de "Il pendolo di Foucalt" tra coloro che l'hanno trovato sotto l'albero.
   Infine, sembra banale, ma è un errore molto comune: non imponete a qualcuno il libro che vi ha entusiasmato, pur sapendo che la persona ha gusti totalmente diversi dai vostri ("Come non hai letto il Codice Da Vinci? Devi assolutamente leggerlo....", "No, grazie, preferisco vivere"); è una piccola prepotenza e, in genere, si ottiene l'effetto opposto. Siate sicuri che quel libro, nella migliore delle ipotesi, rimmarrà intonso, nella peggiore, sarà letto parzialmente e detestato.

venerdì 21 dicembre 2012

Piccoli suicidi tra amici

Arto Paasilinna
pp. 249
Iperborea
Euro 14
recensione di
Paola Borraccino






Visto che diversi gruppi di centinaia di persone pare che oggi vogliano suicidarsi in massa, mi sembra opportuno suggerire la lettura di "Piccoli suicidi tra amici", il delizioso romanzo del finlandese Paasilinna.Non riesco ad immaginare, infatti, un altro libro che abbia, al pari di questo, la capacità di fugare i propositi di commettere un gesto insano: l'ironia garbata, ma efficace, ed una storia strampalata non potranno che distogliere la mente da pensieri funesti.

Gli autori scandinavi hanno una prospettiva assolutamente peculiare su temi delicatissimi, mi viene in mente, per esempio, il film "Lars e una ragazza tutta sua", in cui il protagonista tenero e disorientato in un mondo troppo aggressivo, si rifugia in una relazione con una real doll (cd. bambola di gomma). Registi e scrittori provano, cioè, ad estremizzare lo sviluppo di una trama che ha alla base un'idea paradossale.

Per quanto riguarda il libro di Paasilinna, dalla quarta di copertina:
«Ci sono momenti in cui i ripetuti insuccessi, un matrimonio a rotoli, lo stress o la solitudine sembrano davvero troppo. Onni Rellonen decide di dire basta "a quel suo vivacchiare privo di senso". Ma cosa succede se il fienile scelto per l'atto finale è già occupato da un colonnello a riposo, risoluto a mettere fine ai suoi giorni? Non ci saranno anche molti altri nelle stesse condizioni, con cui varrebbe la pena di spartire rischi e spese per un dignitoso suicidio collettivo? E così, caricati sulla Saetta della Morte, lussuoso pullman dotato di ogni confort, trentatre aspiranti suicidi unitisi nella Libera Associazione Morituri Anonimi partono alla ricerca del migliore strapiombo d'Europa da cui lanciarsi. Dalle falesie di Capo Nod ai burroni del Furka, fino all'estrema punta dell'Algarve, tra amicizie, solidarietà e nuovi amori, la banda degli apprendisti suicidi» scoprirà che la vita ti sorprende nei momenti e nei modi più inaspettati.

La prosa è semplice e la trama lineare, ciò nonostante sono descritti episodi buffi che hanno la stessa forza comica delle avventure narrate da Dickens ne "Il circolo Pickwick", con una cura per dettagli di natura logistico organizzativa che conferisce crebilità al racconto; sì, in questo consiste il segreto dello humour di Paasilinna l'estremo realismo applicato ad una vicenda inverosimile. Risultato garantito.

Voto 7+

Consigliato a tutti coloro che, pur non pensando a certe soluzioni drastiche, si sentano oppressi dal peso delle proprie giornate un po' grigie (senza le 50 sfumature ad allietare...).

La citazione p. 66
«Vennero avanzate anche proposte concrete.
[…] Si trattava di raccogliere una grossa somma di denaro per acquistare ingenti quantitativi di acquavite. E poi bere senza tregua finché tutta la combriccola fosse annegata nell'alcol.
La maggioranza trovò volgare il metodo suggerito. La morte doveva essere dignitosa: non era bello finire i propri giorni ubriache fradici.
Il pensiero più fantasioso del suicidio di massa fu formulato da un giovane di Kotka. Era convinto che sarebbe stato meraviglioso porre fine ai propri giorni buttandosi in mare da una mongolfiera. […] La proposta riscosse ampi aprrezzamenti per il suo lirismo. La modalità del suicidio non poteva essere tuttavia accolta, poichè in tal modo sarebbero stati trascinati nella morte pure gli inncocenti piloti delle mongolfiere. Il che avrebbe anche significato la fine del volo areostatico in Finlandia, che invece meritava di essere preservato.
Nel salone e nella saletta privata partì la colletta. Per la raccolta  fu utilizzato un secchiello da champagne, in cui finì un gran numero di banconote; solo pochi ebbero la faccia tosta di infilarvi delle monetine.
[…] Dal secchiello [vennero estratte] mazzi di banconote, perfino tagli da mille marchi, oltre ad assegni, il più grande dei quali riportava la somma di cinquantamila marchi. Il donatore era un allevatore di renne, [il quale così] motivò la generosità del dono: "Soldi ci devono stare se tutta questa truppa la vuol far finita. In Finlandia oggi non ci sta niente che costa poco, nemmeno la morte".».

Tutto ciò detto, se qualcuno fosse così ostinato da voler, in ogni caso, insistere nel suo proposito, in compagnia di Paasilinna avrà almeno trascorso con leggerezza le ultime ore.

Per le varie modalità con cui eseguire un suicidio individuale, si può leggere l'irresistibile fumetto di Andy Riley "Il libro dei coniglietti suicidi" (Little Fluffy Rabbits Who Just Don't Want To Live Any More), insieme ai successivi libri dello stesso autore, dovendo scegliere un'opzione tra tante, che almeno si usi un po' di fantasia! 

venerdì 7 dicembre 2012

Parla la signora Agnese, moglie di Paolo Borsellino (a proposito di Mancino)




«Non ho il titolo né la competenza per commentare conflitti di attribuzione sorti tra poteri dello Stato. Ma sento di avere il diritto, forse anche il dovere, di manifestare tutto il mio disdegno per un ex Ministro, Presidente della Came ra e vice Presidente del CSM che, a più riprese, nel corso di indagini giudiziarie, che pure lo riguardavano, non ha avuto scrupoli a telefonare alla più alta carica dello Stato, cui oggi io ribadisco tutta la mia stima, per mere beghe personali.
Non sorprende che l’attenzione dei media si sia riversata sul Quirinale, ma il protagonista di questa triste storia è solo il signor Mancino, abile a distrarre l’attenzione dalla sua persona e spregiudicato nel coinvolgere la Presidenza della Repubblica in una vicenda giudiziaria, da cui la più alta istituzione dello Stato doveva essere tenuta estranea.
Oggi io, moglie di Paolo Borsellino, mi chiedo: chi era e quale ruolo rivestiva l’allora Ministro dell’Interno Nicola Mancino, quando il pomeriggio del primo luglio del ’92 incontrò mio marito? Perché Paolo, rientrato la sera di quello stesso giorno da Roma, mi disse che aveva respirato aria di morte

Anche quando la bocca viene chiusa, la domanda resta aperta. (Stanislaw J. Lec)