mercoledì 29 settembre 2010

Un certo tipo di intimità

Jenn Ashworth
edizoni e/o
18 Euro
recensione di Paola Borraccino












  Ipnotico questo romanzo dell'autrice inglese Jenn Ashworth.
  Superato l'incipit delle prime due pagine, non proprio brillante, il racconto si insinua piano nella mente del lettore e poi rapisce completamente la sua attenzione, tenendola in ostaggio.

  L'autrice riesce a farci fare una crociera tra i fiordi della psicopatologia di questa donna: manie, pensieri intrusivi, compulsioni, meschinità, elucubrazioni e introspezioni e quant'altro si celi, normalmente, dietro parole educate e cordialità, insomma la materia di cui è fatta l'esistenza interiore. Senza censure.

  La struttura del romanzo è eccellente e sebbene la scrittura, di per sé, sia lineare, la narrazione riesce ad attrarre in maniera quasi morbosa, come la confessione di una grande peccatrice, superando, per potenza, la forza espressiva del monologo finale di Molly Bloom dell'Ulisse di Joyce (no, non sto esagerando).

   La quarta di copertina recita:
  "Quando giunge nella sua nuova casa in un tranquillo quartiere inglese, con la testa piena di propositi presi dai suoi libri sull’autostima, Annie pensa che a ventisette anni la sua vita sia finalmente iniziata. Si fissa subito su Neil, un giovane vicino di casa, scambiando la sua gentilezza per interesse sentimentale nonostante lui conviva felicemente con una modella di nome Lucy. Portando avanti il proprio programma di miglioramento personale", Annie cerca di inserirsi nel nuovo ambiente; "poco alla volta, però, emergono dettagli inquietanti del suo passato: dove sono finiti il suo ex marito e la loro figlioletta? Chi sono gli uomini che Annie ha incontrato? È una vittima della solitudine e di un’infanzia infelice oppure una pericolosa sociopatica bugiarda e con gravi disturbi mentali?


  Io risponderei che si tratta di una persona comune che, giorno dopo giorno, combatte la sua personale guerra contro i propri demoni e, dopo ogni singola battaglia, è anche costretta a presentarsi davanti al proprio comitato di pietra. Una lotta sfibrante, in cui ciascuno può riconoscersi, perché, come scrive Dostojevskij


  "Ogni uomo ha dei ricordi che racconterebbe solo agli amici. Ha anche cose nella mente che non rivelerebbe neanche agli amici, ma solo a se stesso, e in segreto. Ma ci sono altre cose che un uomo ha paura di rivelare persino a se stesso, ed ogni uomo perbene ha un certo numero di cose del genere accantonate nella mente".

Memorie dal sottosuolo


  Voto 8 +


  Consigliato a tutti coloro che vogliano curiosare nella cantina dei pensieri reconditi di un'altra persona.


  La citazione


p. 24
 ...riflettei sulle mie azioni e, ben lungi dal sentirmi rifiutata, tirai un sospiro di sollievo perché i miei piani sul lattaio erano falliti. A volte, sono giunta a capire, la vita ti è amica e ti salva da te stessa.


  p. 136
  Così ci sposammo. Ma, come dissi a Sagita, non ricordo nulla del matrimonio in sé, soltanto che dopo non ebbe più bisogno di lavorare e tutto ad un tratto lui non trovava più divertenti le cose che dicevo.


p. 161
  L'aria si era raffreddata in fretta, come se il calore dei nostri movimentati concitati avesse abbandonato la stanza, e il sudore si asciugava in una gelida pellicola sul corpo mentre Boris rimpiccioliva restituito alle dimensioni di un estraneo.

martedì 21 settembre 2010

Come piante tra i sassi

 Mariolina Venezia
Einaudi editore 2009
249 pp.
17,50 Euro









Ho notato questo titolo per la bellissima foto in bianco e nero in copertina: il bacio appassionato tra i due ragazzi esprime un trasporto genuino e non di maniera; inoltre, come si fa a non essere attratti dall'accostamento Eros (l'amore passionale) con Thanatos (la morte rappresentata con il suo simbolo universale sul portale della chiesa)?
  Il nome dell'autrice mi era già noto: avevo molto letto della sua precedente opera, Mille anni che sto qui, grazie alla quale si era aggiudicata il Premio Campiello nel 2007; avevo, tuttavia, scelto di non acquistare né leggere quella storia, perché una scorsa sommaria del testo mi aveva dato l'impressione che si trattasse di una storia abbastanza pesante. Forse mi sbagliavo, chissà?!
  Ad ogni modo, mi sono immersa nelle prime pagine del secondo romanzo di Mariolina Venezia senza pregiudizi e ... sono stata ripagata da un'ottima scoperta: dopo migliaia di descrizioni di esseri femminili,
- perennemente in preda di attacchi di shopping compulsivo,
- sull'orlo di una crisi di nervi, quando hanno prole,
- che fanno sempre mestieri che hanno a che fare con il fumoso mondo della comunicazione,
- imbranate,
- nella migliore delle ipotese nonne papere in giarrettiera che sfornano manicaretti e progetti matrimoniali per accalappiare lo strafighissimo lui, inizialmente disinteressato alle grazie della protagonista,
- che ammorbano i malcapitati amici in infinite sedute di brain storming alla ricerca della pietra filosofale che le aiuti a conquistare il succitato lui (non sia mai un lavoro serio...),

 finalmente una DONNA VERA, e che diamine! Il sostituto procuratore Imma Tataranni.

  Moglie, madre e lavoratrice che non si perde mai d'animo, perché non ha tempo. Come sanno tutte coloro che abbiano superato i venticinque anni e che si debbano districare tra le mille incombenze di una vita normale e non di un elenco di happening nella propria agenda, persino un mal di testa è un lusso che non ci si può permettere durante una giornata di ordinario tran tran domestico, figuriamoci una crisi adolescenziale!

  Tracagnotta, tignosa proprio come un pittbull che, quando si attacca, ... non molla la presa neanche se lo dividi a metà, protettiva con i deboli e instancabile nella battaglia contro gli abusi e le ingiustizie dei forti, è l'eroina delle donne che si sono stese sui libri e non sui letti dei potenti .

  Per quel che riguarda la storia, ignoro la categoria in cui debba essere annoverato, giallo tutto considerato mi sembra improprio, di sicuro al centro del racconto c'è una indagine.

  Come riporta la quarta di copertina:
  " Sotto la terra di Basilicata si stratifica la storia. I resti della Magna Grecia, ma anche ciò che la modernità non vuole. E Imma Tataranni vi inciampa mentre indaga sull'omicidio di un ragazzo poco più grande di sua figlia.... Fra un marito che la ama, una suocera che la odia e la figlia adolescente... fra idiosincrasie, pratiche da evadere e cambi del guardaroba ... e una ronda di personaggi racconta una società sull'orlo della globalizzazione ma ancora intenta a digerire il passato".

  Ben strutturata, avvincente, equilibrata, la narrazione perde colpi nelle ultime pagine, cosicché il finale appare affrettato, per il resto impeccabile.

  Voto 8-

  Consigliato a tutte le donne che non sognano di diventare veline e agli uomini con fantasia (come scrive Proust - ...lasciamo le donne belle agli uomini senza fantasia - ).


  La citazione
  p. 68

  Nei tempi successivi al solstizio d'inverno, quando la luce iniziava a crescere, il sole giallino era tutto nuovo, e i richiami degli uccelli si facevano sentire nuovamente dopo il lungo silenzio dei mesi freddi... la prendeva la gran malinconia del tempo che se ne va, e allora come una furia si attaccava al telefono e chiamava tutti i commissari della zona, riesumando i vecchi fascicoli di cui nessuno si ricordava più, spargeva il panico nelle sezioni, spronava i commessi ad allungare il passo, disperdeva i crocchi intorno alle macchinette del caffè, aggirandosi per i corridoi della Procura con la fretta di una che vuole gabbare la morte per poi trovarsela a Samarcanda.

 p. 53

  Non sembrò molto contenta di vederli e a Imma dispiacque, perché a lei quella ragazza faceva venire voglia di proteggerla. Dal fratello, dal nonno, da qualcosa di sconosciuto, o da se stessa. Le piaceva quell'essere indisponente, quel modo di stringere le labbra e non farsi scappare nulla. Ma queste non lo capivano, che la vita non è una passeggiata, e se qualcuno si azzardava a dirglielo se la prendevano con lui.

  A metà libro, poi, assolutamente imperdibile la scena di sesso matrimoniale.

  Per altri pareri si legga la recensione di Max Pagani  sul sito LibriBlog.com, di Elisabetta Bolondi sul sito sololibri.net e di Ziccardi sul sul blog omonimo .

lunedì 20 settembre 2010

Come NON scrivere un romanzo

Howard Mittelmark e Sandra Newman
Corbaccio editore 2010
218 pp.
recensione di Paola Borraccino







  Assolutamente indispensabile questo libro per gli aspiranti scrittori che vogliano avere qualche chance che il loro manoscritto non venga cestinato dopo le prime pagine!
  Come recita il sottotitolo, gli autori si sono proposti l'intento di redigere una guida per evitare gli errori più comuni, commessi da chi si cimenti per la prima volta nella stesura di un romanzo. Pratici come solo gli statunitensi sanno essere, hanno stilato un elenco, corredato puntualmente da esempi, di sciatterie, svarioni, inesattezze e veri e propri orrori stilistici, di contenuto e di ogni altro aspetto legato alla redazione di in testo.
  Howard e Newman lavorano in qualità di editors per importanti case editrici, quindi la selezione e la valutazione dei romanzi sono il loro pane quotidiano e direi che ciò emerge in maniera evidente.
  Ci sono molti manuali in commercio dello stesso genere, ma, per lo più, sono scritti da giornalisti, altri scrittori e gente dalla qualifica non meglio precisata, direi che questo è di un livello superiore.

Voto 9 (Oltre a fornire suggerimenti utili, è ben scritto ed ironico)

Consigliato non solo a coloro che abbiano scritto o stiano scrivendo un romanzo, ma anche a chi voglia diventare un lettore più consapevole; in particolare suggerisco di investire questi 18 euro a parenti e amici di aspiranti scrittori, affinché evitino ai propri cari spese di ben altro importo (per esempio per l'editoria a pagamento) o cocenti delusioni.

Citazione

Nel sito de il Libraio.it, curato dalla redazione del gruppo editoriale Mauri Spagnol di cui fa parte la casa editrice della Corbaccio, è riportata integralmente l'introduzione di "Come non scrivere un romanzo" e si può visionare la scheda completa del libro .

domenica 5 settembre 2010

Lezioni di arabo

Rossana Campo
Feltrinelli 2010
135 pp.
13 Euro
recensione di Paola Borraccino












  Soggetto buono per un porno, ottimo per un film erotico vietato ai minori. Veramente.
  A parte questo, il libro non vale molto; tant'è che l'ho letto in libreria, senza acquistarlo.
  L'autrice è italiana, ma vive da molti anni in Francia, dove ha anche ambientato la storia di questo romanzo.
  La quarta di copertina recita: "Betti vive a Parigi, è appena uscita da un divorzio e per arrotondare lo stipendio lavora nella rosticceria araba di Hassan. Tra i clienti abituali spicca Suleiman - algerino, professore in un liceo di periferia, musulmano praticante e depresso. Betti e Suleiman si guardano, si scrutano, lanciandosi occhiate di sfuggita e sperando che prima o poi uno dei due faccia un passo avanti. Ma quando finalmente si incontrano casualmente a una festa e si parlano per la prima volta entrambi rimangono delusi. Si immergono di nuovo nelle rispettive solitudini concedendosi qualche altro appuntamento. Ed è proprio la solitudine che alla fine salda il loro rapporto...".

  Pare che Rossana Campo abbia vinto un premio, per aver contribuito a promuovere il multiculturalismo e combattere il razzismo. Ora, però, non vorrei essere greve... ma se bastasse descrivere rapporti sessuali tra persone appartenenti a culture diverse, chi si è guadagnato/a le medaglie sul campo per gli sforzi resi e i risultati raggiunti nel multi-culturalismo meriterebbe il Nobel per la Pace: non scherziamo!

  La punteggiatura è pessima, i personaggi ad una sola dimensione (non specificherò quale) e la storia inconsistente.
  Mentre leggevo le prime 30 pagine, mi è venuta in mente la lezione di cinematografia che un mio amico mi fornì sui film porno. Mi disse: "Esistono due tipi di film del genere: con trama e senza."; io, naturalmente, ebbi l'ingenuità di chiedergli quale fosse la differenza ed egli mi rispose: "Nel primo l'idraulico suona la porta, la donna in vestaglia va ad aprire e l'uomo le dice - Buongiorno- e poi procede; nel secondo l'idraulico entra e procede con la donna senza neanche dire -Buongiorno-".
  Ho visto pochissimi film del genere, tuttavia abbastanza per riconoscere che la definizione del ragazzo era, tutto sommato, pertinente e corretta.
  Tornando al libro, si tratta di un racconto lungo (tempo di lettura 1 ora circa), dove l'80% dei dialoghi si svolge a letto o ha per oggetto la sfera intima; il resto è una serie di amplessi della protagonista con due partner diversi; poi niente.
  Ciò nonostante come lettura erotica raggiunge lo scopo, perché l'autrice attinge agli elementi più pregnanti dell'immaginario sessuale maschile (il lolitismo) e femminile (lo straniero, l'uomo nero, la sottomissione, il gioco sottile della violenza, il binomio tra slave e master schiava/padrone).

  Voto 8+ come libro erotico
           5 come libro di narrativa

  La citazione non la riporto, per ovvi motivi.

  Consigliato agli amanti del genere

venerdì 3 settembre 2010

Carlo Alberto Dalla Chiesa

Il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa con la moglie Emanuela Setti Carraro, insieme all'agente Domenico Russo, furono uccisi in un agguato mafioso a colpi di kalashnikov, nella strage di via Carini






  "Un servitore dello Stato di cui lo Stato prima si è servito, poi ha abbandonato per fini poco attinenti alla salvaguardia dello Stato", questo ho pensato ieri in tarda serata, mentre guardavo la puntata de La storia siamo noi, che ha ripercorso la vita del generale Dalla Chiesa (al momento della sua uccisione in carica come "super prefetto" a Palermo) e i drammatici mesi che hanno preceduto la sua uccisione.
  La redazione di Minoli, come al solito eccellente, ha ricostruito fedelmente le tappe salienti della biografia, lumeggiando bene allo stesso tempo l'uomo ed il carabiniere.
  I successi riportati da Dalla Chiesa sono troppo numerosi per essere qui elencati, ma bisogna almeno ricordare il fatto che Carlo Alberto Dalla Chiesa è considerato colui che maggiormente ha contribuito alla vittoria dello Stato contro il terrorismo.
  Proprio in virtù di ciò, l'allora Ministro dell'Interno Virginio Rognoni lo volle a capo della prefettura del capoluogo siciliano; il Vicecomandante Generale dell'Arma Dalla Chiesa ebbe delle perplessità in merito all'incarico, in quanto una prefettura come prefettura, anche se di prima classe, non gli interessava, gli interessava di più lottare contro la Mafia e i mezzi e i poteri per vincerla nell'interesse dello Stato.
  Fu convinto ad accettare, con la promessa che avrebbe avuto quanto richiesto e che lo Stato l'avrebbe sostenuto in tutto e per tutto, quindi nel maggio del 1982 assunse formalmente l'incarico; ma egli era stato inviato "in una realtà come Palermo, con gli stessi poteri del prefetto di Forlì" (come egli stesso dichiarò).
  Durante quei suoi "Cento giorni a Palermo" (si veda il film di Giuseppe Ferrara del 1984) i suoi familiari testimoniano che le sue richieste riamanevano tutte inascoltate e il Governo, soprattutto nella persona dell'allora Primo Ministro Giovanni Spadolini, ignorò le telefonate e le lettere del Prefetto palermitano, in cui Dalla Chiesa denunciava la collusione del potere politico con la Mafia, in particolare i grandi elettori democristiani della corrente andreottiana.
  Le dichiarazioni dello stesso Spadolini, interrogato dai giornalisti, sul perché non fossero state prese in considerazione con la dovuta attenzione le segnalazioni del Generale, furono imbarazzate, balbettanti e indecenti: si legga il post "Il Generale Dalla Chiesa e le mani nere della DC".
  Sempre nello stesso blog, Paese senza memoria, nel su citato post, si possono leggere le agghiaccianti risposte di Giulio Andreotti al Generale durante una conversazione, prima che Dalla Chiesa si trasferisse come Prefetto a Palermo, ma soprattutto quella data ai giornalisti del perché egli non si fosse recato al funerale ("preferisco i battesimi...").
  Intorno all'omicidio Dalla Chiesa si annodano inevitabilmente altri segreti della vita della nostra Repubblica, tra tutti il memoriale di Moro, rinvenuto nel doppio fondo di un appartamento in via Monte Nevoso, che era servito come covo di alcuni brigatisti. Tali documenti furono consegnati da il generale a Giulio Andreotti (allora Primo Ministro), ma la figlia di Emanuela Setti Carraro ha dichairato che la madre le aveva confidato che Dalla Chiesa non aveva consegnato tutte le carte rinvenute, le quali contenevano segreti estremamenti gravi, che il marito le aveva fatto giurare di non rivelare a nessuno.
  Degli stessi documenti (i cd. memoriali) parlò Mino Pecorelli, il direttore della rivista OP e amico del Generale; egli annunciò che li avrebbe pubblicati integralmente, ma fu ucciso il 20 marzo del 1979 prima che riuscisse a preparare il numero della sua rivista.
  La sorella del giornalista ucciso dichiarò che Dalla Chiesa aveva incontrato pochi giorni prima il fratello e, in quella occasione, il Generale avrebbe confidato al giornalista alcune importanti informazioni sul caso Moro, consegnandolgli documenti riguardanti il ruolo di Giulio Andreotti (fonte articolo di Repubblica 11 giugno 1993 di Giovanni Maria Bellu "E Andreotti disse: fermate Pecorelli").
  Inutile continuare, sugli anni della notte della Repubblica sono state scritte intere biblioteche ed io non ho gli strumenti certo per scoprire qualcosa di nuovo. Posso solo, come cittadina, cercare di capire cosa succede intorno a me, per questo ben vengano puntate come quelle de La storia siamo noi, che ci aiutano a coltivare il vizio della memoria!
  Per esempio oggi anche un altro blogger Carlo Cortesi ha commemorato il ventottesimo anniversario della morte del Generale, di sua moglie e dell'agente di scorta Domenico Russo, pubblicando la superba intervista che Giorgio Bocca fece a Dalla Chiesa il 10 agosto per Repubblica, in cui è descritta anche fisicamente la solitudine in cui era stato abbandonato Dalla Chiesa; le istituzioni lo avevano lasciato solo a combattere contro la mafia. Le parole del Generale sono lucidissime ed individuano responsabilità, quantomeno morali, precise e inconfutabili; sono quelle di un soldato che, mentre gli ufficiali ed il resto della truppa hanno battuto la ritirata alla chetichella, sceglie con coraggio di rimanere a combattere da solo in un avamposto sperduto, per il senso dell'onore e per difendere le istituzioni, lo Stato, la democrazia.
  Vi invito a rileggere quelle parole e a  tenere a mente i fatti, affinché poi non ci vengano a dipingere come padri della Patria le persone sbagliate.
  Penso alla testimonianza di Rita Dalla Chiesa, figlia del Generale, la quale racconta che, al termine della funzione, lei, suo fratello Nando e la sorella furono caricati su un taxi; una donna del popolo si staccò dalla folla urlante che imprecava contro il corteo dei politici presenti e si affacciò dal finestrino aperto nell'interno dell'abitacolo dell'autovettura ed in lacrime disse: "Scusateci ragazzi, ma non siamo stati noi!".
  Inquietante.

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 Dopo 32 anni dalla strage le parole del boss Riina (intercettato nel parlatoio del carcere) confermano i sospetti dei familiari del Generale: Dalla Chiesa fu ucciso da "uomini di Stato".