venerdì 31 luglio 2009

Le coincidenze non esistono


da "L'Unità"

Figlio del giudice
costituzionale
che deciderà
sul Lodo Alfano
nominato a capo
dell'Aviazione
Civile

La storia è questa:
un avvocato di 44 anni è promosso alla guida di un importante ente
pubblico mentre il padre, giudice, è impegnato in una decisione assai
delicata che riguarda il ministro che ha proposto e ottenuto la nomina
del figlio.

Probabilmente si tratta solo di una coincidenza, uno di quegli incroci
temporali che neppure il diavolo riuscirebbe a mettere in piedi.
Probabilmente. E al bando i maligni, chi ci vuole vedere altro, piani
e strategie. Magari scambi di favori, ohibò. E però la storia
va raccontata tutta. Per filo e per segno.

Il 4 di giugno l’avvocato Alessio Quaranta,
44 anni, sposato, due figli, professionista stimato, un curriculum segnato
dai ruoli dirigenziali all’interno dell’Enac, diventa n°1 dell’Ente
nazionale di aviazione civile, l’organismo che decide tutto in materia
di voli, aeroporti e licenze e sicurezza. Insomma, un Signor incarico.

La nomina di Quaranta viene fatta dal Consiglio dei ministri su proposta
del ministro competente, Altero Matteoli ( Trasporti).

Un paio di settimane dopo, anche se i giornali ne parlano solo il 9 luglio,
succede che un altro Quaranta, Alfonso padre di Alessio e giudice della Corte Costituzionale, partecipa al voto che in qualche modo “assolve” proprio
il ministro Matteoli dall’accusa di favoreggiamento.

Qui serve una parentesi. Perchè c’è una storia nella storia.

Nel 2004 il ministro Matteoli è accusato di favoreggiamento dalla procura
di Livorno per aver avvisato il prefetto di un’indagine a suo carico per
presunti abusi edilizi relativi alla costruzione di un residence all’isola d’Elba.

All’epoca Matteoli è ministro dell’Ambiente e in quanto tale chiede alla Giunta per la autorizzazioni a procedere di deliberare che «i fatti a lui ascritti siano dichiarati attinenti alle sue funzioni ministeriali».

Nel frattempo il tribunale di Livorno, dopo che il Tribunale dei ministri di Firenze si era spogliato del procedimento perchè non si trattava di reato ministeriale, rinvia a giudizio il ministro per favoreggiamento.

Matteoli si oppone, investe della questione la Giunta della camera che solleva il
conflitto di attribuzione di poteri presso la Corte Costituzionale. La quale, e torniamo a oggi, decide di rinviare tutto alla Giunta della Camera.

Ma quella della Consulta non è stata una decisione serena. Anzi.
E’ stata presa a maggioranza - è ipotizzabile una conta di 8 sì e
sette no - e ha registrato la contrarietà del vicepresidente della Corte
Ugo De Siervo che, pur essendo il relatore, non scriverà le motivazioni di una scelta che non condivide.

Non si capisce infatti come possa essere una prerogativa ministeriale avvisare
una persona di essere sotto inchiesta.

E’ un fatto che la decisione della Corte sta facendo molto discutere nel merito.
E inquieta sapere che uno di quei giudici che hanno deciso, in un modo o
nell’altro, su una sorta di Lodo Matteoli, è il padre di un professionista
che lo stesso Matteoli ha appena promosso.

Coincidenze. E malignità. Nulla di più. Che però non finiscono qua. Infatti
l’ex dg di Enac, Silvano Manera, ex comandante di Alitalia, è candidato a
diventare consulente dello stesso ministro Matteoli.

Insomma, tutti contenti e nessuno a piedi.

Il caso Matteoli slitta a settembre. Sarà la Camera a decidere se il reato è ministeriale o meno. Resta aperto il caso Consulta: dopo la cena a casa del
giudice Mazzella con il premier, il sottosegretario e il ministro della
Giustizia, arriva ora il caso Matteoli-Quaranta.

E a ottobre, sempre la Consulta, dovrà decidere sulla costituzionalità del
Lodo Alfano.

In pratica se processare il premier oppure no.

sabato 25 luglio 2009

Patrizia D'Addario forse ha cominciato così


foto tratta da
Il blog di Luigi Crespi

AAA Compagne di merende cercasi
(Correva l'anno 1995)
di Paola Borraccino

Insospettabile l’orario ed il recapito: h. 17,30-19,00 di una domenica
mattina. Hotel Sheraton a Bari.

Partiamo in quattro, senza considerevoli esperienze, ma carine; il nostro
obiettivo è trovare un lavoro saltuario per integrare le modeste entrate di studentesse universitarie.

Il testo sul giornale dice:” Agenzia di carattere nazionale ricerca:
Hostess, fotomodelle/i, indossatrici/tori, promoter, baby sitter.
Telefonare 080/872XXXX ”.

Tutte vorremmo fare le hostess, ma ci accontenteremmo di fare le
promoter; anche sopportare piccoli Unni, sotto mentite spoglie di
bambini va bene. Siamo vicini all’estate e non si può rinunciare
a vedere la solita isola greca, con 3 kilometri di spiaggia deserta.

Arriviamo sul posto puntuali, agguerrite, truccate e vestite in
perfetta sintonia con l’ambiente.

La Rossa in macchina ci ha raccontato che una sua amica è venuta
qui ieri, le ha descritto il colloquio con il “tipo”, un Tinto
Brass dei poveri.
Stiamo ancora ridendo mentre entriamo nella hall.
“L’ha sparata un po’ grossa”, “È impossibile”, ”Avrà frainteso”
sono i commenti.
Sebbene ci abbia accompagnato, la Rossa è restia ad andare
all’appuntamento; noi facciamo le superdonne e proseguiamo impavide.

Quando nominiamo la società che sta svolgendo una selezione, negli
occhi del receptionist compare un lampo di scherno e la bocca si
atteggia ad un discreto sorriso.
Mary sottolinea la cosa e chiede spiegazioni, il ragazzo però
conosce il suo dovere e tace.

Prendiamo l’ascensore panoramico che trasforma la nostra frizzantina
eccitazione in ansia; nessuno però osa confessarlo.

Siamo al piano. Con noi è salito un ragazzo distinto, pensiamo tutte
che possa essere dell’agenzia e parliamo a bassa voce.

La sala si trova in fondo ad un corridoio molto angusto, vicino alla
uscita di sicurezza.
È Raffaella questa volta che rileva il particolare, peraltro non
sfuggito ad alcuna di noi.

Bussiamo. Nessuno risponde e non si odono rumori.
Dopo qualche secondo apriamo piano la porta, all’interno un uomo si
aggiusta i pantaloni. Esce fulminea una ragazza, è bionda tinta,
molto procace, trucco pesante, ha il volto acceso ed è visibilmente
alterata.

Ci guardiamo sgomente, l’amica della Rossa aveva riferito cose esatte,
serpeggia la paura; forse qualcuno sta per proporre qualcosa, quando
una voce all’interno invita ad entrare.
Le mie amiche(?) dicono: ”Entra tu”. Della serie armiamoci e partite.
”Beh…certo non mi violenteranno in un albergo a cinque stelle con dei
testimoni dietro alla porta” penso.

Mi siedo come se fossi ingessata in un busto e accosto i lembi del
cappotto per nascondere le gambe, indosso un pantaloncino; bestemmio
a fior di labbra per non aver optato per uno scafandro.

Mi accoglie l’uomo che ho visto prima: ora sta fumando, consuma la
sigaretta in pochi, lunghissimi, voluttuosi tiri, fino al filtro, il
posacenere è ricolmo di cicche.

Ha tra i 40/50 anni, mal portati, stempiatura lunare, capelli sulle
tempie lunghi ed oleosi, è in camicia e cravatta, sudato, se ho notato
bene, ha la fede al dito e l’aria stanca.

C’è anche un assistente, un piccoletto insignificante, sfoggia un
coordinato giacca e pantaloni in jeans, modello albanese post-sbarco,
e porta occhiali da miope.

Mi viene chiesto per quali figure professionali io abbia risposto
all’annuncio, rispondo: hostess e promoter, illustrando le mie
precedenti esperienze lavorative.
Poi, continuando, il tipo: “Sarebbe interessata a fare la
ragazza-immagine, fotomodella, indossatrice, accompagnatrice di affari?”

Io: “No. Non credo di avere i numeri giusti, ma soprattutto ho problemi
di orario, non potrei fare un lavoro che si protragga oltre le 20.00”.

Lui: “Per gli orari ci si potrebbe mettere d’accordo. Non hai mai
pensato di fare l’accompagnatrice?”

Penso: “ Ci siamo”, poi ad alta voce con il tono da ingenua “Non so
neanche in che cosa consista.”

“Lei accompagna uomini di affari a pranzo e a cena, se c’è un dopo
questo dipende esclusivamente da lei. Il suo lavoro inizia quando la
persona viene a prenderla e finisce alla fine del pranzo”.

Si potrebbe fare della facile ironia su questa figura da commensale a
pagamento, ma riesco solo a dire: “Capisco” e poi mi affretto ad aggiungere
”Direi proprio di no, sono orientata per quello che dicevo prima”.

“Noi come agenzia curiamo anche questo tipo di servizi, ma vuole mettere,
quanto guadagna una promoter? Qui invece parliamo di parecchi soldi, di
banconote da centomila una sull’altra”.

Parla della cosa in modo così naturale da farla apparire allettante:
“Già” replico io debolmente, “ma è un po’ pericoloso”; questa è l’unica
frase che mi viene sul momento, con buona pace di tutti gli insegnamenti
morali impartiti in una vita.

“Perché? Assolutamente no.” Poi incalza: “ Noi lavoriamo a Milano da
venti anni e a Corato da due, ora ci trasferiamo a Bari ci consegnano gli
uffici il 15 Aprile all’Executive.

La nostra è una clientela di persone di un certo livello. Ad esempio la
ragazza che è uscita prima, ha pranzato qui oggi” fa segno con l’indice
verso l’alto, si riferisce al ristorante sulla terrazza “ed il cliente
le ha regalato un milione”.

Io: “Avrà gradito la compagnia”.

Lui: “La compagnia?!”, come per dire: -Ci fai o ci sei?-

Io, calcando il tono e guardandolo dritto negli occhi: “Non era di
questo che stavamo parlando?”.

Sono rilassata, è gente che nel suo mestiere ci sa fare, abituata a
considerare questo lavoro come uno qualunque del settore del terziario,
sarebbe da provinciale scandalizzarsi, sono secoli che esiste
e non vedo ombra di sfruttamento.
Ciò che mi sorprende, da buona meridionale, è l’organizzazione aziendale:
il solerte, efficiente, europeo Nord che viene a civilizzare queste
lande deserte.

La vicenda sta persino rivelando degli aspetti buffi: usufruiranno di
sovvenzioni statali per aver creato posti di lavoro? In caso di
insolvenza, cosa pignoreranno le Banche? Forse è prevista
l’amministrazione straordinaria delle imprese in crisi, che hanno
tentato il rilancio delle zone depresse.

Mi metto più comoda: mi apro il cappotto, un gomito sulla scrivania,
le gambe accavallate e mi abbandono finalmente contro lo schienale.

Lui mi squadra attraverso il fumo della sua sigaretta, mentre prende
appunti e, in verità, lusinga la mia vanità femminile lo sguardo di
approvazione di costui, un esperto nel campo.

Oltre i dati classici, compila la scheda personale in maniera
dettagliata: colore di capelli, degli occhi, taglia, misura di scarpe
e misura seno-vita-fianchi.

Rispondo gaia e scherzo anche sul fatto che ho misure da maggiorata,
pur avendo taglia ridotta: merito della sola cassa toracica.
Il tipo però è serio e continua ad avere un atteggiamento da
professionista; riflettendo non ha detto due frasi uguali, è esauriente
e va dritto al punto, senza perdere tempo.
Gli ribadisco la preclusione al discorso “accompagnatrice” e per contro
la mia disponibilità per fare servizio di hostess e promoter.

Mi dice ancora: “ Tenga conto che se lei è di Bari, non le faremmo
incontrare persone di Bari, e saremmo in tre a saperlo: io, lei ed il
cliente (o lo ha chiamato utente?).
Poi rivolgendosi al suo assistente: ”Tu domani lavori all’università?”;
quello annuisce, ”quindi domani non puoi venire”.
Infine rivolto a me: ”Ci pensi per quel discorso e mi faccia sapere”.
Si alza e mi porge la mano.

Quando esco le mie amiche mi interrogano ansiose, rispondo solo:
“È proprio come avevano detto”.
Nel frattempo entra nella stanza il ragazzo che era salito con noi
in ascensore.

Oltre alle mie amiche ci sono altre ragazze che Mary ha provveduto
ad informare, il tempo di dire “andiamocene”, tutte hanno girato i tacchi.

La porta si apre, esce il ragazzo, è stato dentro mezzo minuto. Dalla stanza
una voce: “Avanti la prossima”, si precipitano tutti dentro l’ascensore.

Mentre le altre starnazzano, io mi domando presso quale facoltà lavori il
piccoletto con gli occhiali; se lo trovassi dietro alla cattedra…ma qualcuna
sta dicendo: “Denunciamolo, questa è induzione alla prostituzione”.

È arrivato il comitato per la salute pubblica.

venerdì 24 luglio 2009

Maschio adulto solitario di Cosimo Argentina


Manni editore
310 pp.
17 Euro
recensione di
Paola Borraccino

Un romanzo che, pur rivelando un autore promettente, non convince fino in fondo.

Narra del percorso del protagonista dall’età di venti anni ai trenta circa, in tappe abbastanza nette: il servizio militare a Bari ed il suo primo amore, la fuga al nord e l’esperienza in una azienda di inscatolamento di tonno, il ritorno a sud, lo studio ed il conseguimento della laurea in giurisprudenza ed, infine, la pratica legale in uno studio a Taranto.

Come recita il titolo, il libro è molto “maschio”, con figure femminili stereotipate e tristi.

Lo stile è alterno, ottimo in determinate parti, confuso in altre.

Il linguaggio è aderente alle situazioni descritte, ma non riesce a variare, cosicché il ritmo, risulta pesante e, in alcuni punti, persino greve.

Questo è il grande limite: è mancato un buon lavoro di revisione, certe frasi, e qualche volta pagine intere, sono sovrabbondanti e inutilmente crude.

L’autore avrebbe dovuto fare una scelta più coraggiosa e tagliare delle parti, che appesantiscono il testo e, nello stesso tempo, rendono la trama inverosimile, iperrealista.

Per quanto i singoli episodi narrati siano credibili, nell’insieme risultano eccessivi e forzati, fino a precipitare nel finale che guasta il libro.

Anziché comporre un romanzo, i capitoli avrebbero potuto formare una raccolta di racconti brevi a sé stanti.

Il giudizio finale è, comunque, positivo, anche se in attesa di conferma del prossimo lavoro di Argentina.

Voto 6,5

Il consiglio: poco adatto alle donne sotto i venticinque anni, perché
mostra il lato brutale e violento dell’uomo abbandonato a se stesso.

La citazione:
Gli intervalli e le ricreazioni sono una dannazione: spezzano il ritmo e ti illudono che tutto sia finito, come le domeniche, come le estati e tutto il resto.

venerdì 10 luglio 2009

Al G8 dell'Aquila Berlusconi ha annunciato che a settembre saranno inviate altri soldati italiani in missione in Afganistan



immagine tratta da
http://lucapautasso.files.wordpress.com/2009/04/soldati_italiani_
di_unifil_durante_la_giornata_della_prevenzione_dal_rischio_delle_
mine_-_4.jpg

Limes Maggio 2007- Mai dire guerra

Lost in Afghanistan

Per i duemila soldati italiani schierati sul teatro
afghano è scattato l’allarme rosso.

Stanno venendo al pettine le contraddizioni di una missione internazionale
partita per stabilizzare il paese e assisterlo nella ricostruzione,
presumendo che gli americani avessero vinto la guerra contro i taliban.
Premessa errata. La guerra continua. E noi ci siamo
dentro.
Non perché vogliamo la guerra, ma perché la guerra vuole noi.

Com’è stato possibile finire in questo cul de sac?

L’Afghanistan è il laboratorio della spaccatura della Nato. Qui
gli alleati perseguono scopi diversi con mezzi diversi. La missione di guerra
a guida americana, Enduring Freedom, sta infatti fagocitando
quella Isaf (in teoria di stabilizzazione e assistenza) a guida Nato.
O meglio, l’Isaf si preoccupa di stabilizzare se stessa, Enduring Freedom di destabilizzarla.
Turnazione vuole che oggi il comandante dell’Isaf sia un generale americano,
Dan McNeill, il quale non ama le sfumature
e i bemolle di alcuni alleati.
Sicché oggi soldati dell’Alleanza atlantica – americani, canadesi, olandesi,
britannici – sono impegnati sul vasto fronte afghano contro taliban e insorti
vari, mentre altri – italiani, spagnoli, tedeschi, francesi – sono soprattutto intenti a proteggere se stessi dietro una cortina di caveat.

Salvo qualche poco pubblicizzata iniziativa delle forze speciali – incursori
della Marina e del Col Moschin– condotta con gli americani di Enduring
Freedom, i nostri soldati si attengono al vincolo parlamentare
che vieta loro di partecipare alla guerra contro la nebulosa talibana.
Il che non impedisce di finire nel mirino degli insorti.

Che gli americani vogliano fare della Nato uno strumento globale a protezione
della loro sicurezza nazionale, o in alternativa metterla a riposo, è
perfettamente legittimo.

Come lo è la tendenza italiana e veteroeuropea a concepire l’Alleanza atlantica
come architrave della sicurezza collettiva in Europa, purché siano gli
americani a pagare. Di certo le due Nato non possono convivere.

Vincerà la Nato angloamericanao quella dei vecchi partner euroccidentali?
Nessuna delle due? Inutile mascherare il conflitto.

Conviene esplicitarlo, per trovare un compromesso.
Ed evitare che la crisi della Nato lasci l’Italia a galleggiare solitaria
in un mare in tempesta.

Possiamo batterci per profilare una Nato più vicina ai nostri interessi,
più o meno coincidenti con quelli degli altri europei occidentali.
Per questo dovremo essere dispostia investire nella sicurezza,
possibilmente in base alle esigenze effettive e non a quelle delle
lobby militar-politico-industriali
che trattano il bilancio della Difesa come cosa loro.

Nella speranza di riportare l’impiego dello strumento militare alla
sua nobile (e democratica) funzione di ancella della politica.
Non suo sostituto.

Nel frattempo, ci arrangeremo con le missioni à la carte.

martedì 7 luglio 2009

http://www.buccinasco.net


Gli ultimi mesi sono stati caratterizzati da un susseguirsi di iniziative legislative apparentemente estemporanee e dettate dalla fantasia dei singoli parlamentari ma collegate tra loro da una linea di continuità: la volontà della politica di soffocare ogni giorno di più la Rete come strumento di diffusione e di condivisione libera dell’informazione e del sapere.
Le disposizioni contenute nel Decreto Alfano sulle intercettazioni rientrano all'interno di questa offensiva.

sabato 4 luglio 2009

MI RIVOLTO, DUNQUE SIAMO


Elèuthera editrice 2008

di Albert Camus

La vita di ogni giorno da costruire con la
maggiore lucidità possibile, la lotta ostinata
contro il proprio e l’altrui avvilimento.

Sapere dire di no, sforzarsi, ciascuno nel posto che occupa,
di creare quei valori vitali senza i quali non potrà esserci alcun
rinnovamento, conservare ciò che vale dell’essere,
preparare quanto merita di esistere, provare ad essere
felici affinché il sapore aspro della giustizia ne
risulti addolcito, ecco alcune buone ragioni di
rinnovamento e di speranza.

venerdì 3 luglio 2009

Somalo picchiato, l'autista rischia il posto

di Paola Borraccino

Io sto con l'autista. A prescindere.

Perché non sia lui il capro espiatorio di una politica desiderosa di rifarsi
la verginità, al pari di una prostituta di lungo corso che si faccia
ricostruire una membrana pudìca.

In un paese in cui un giudice costituzionale ha l'impudenza di dichiarare
quello che ha dichiarato Mazzella,
senza che i tartassati sudditi (noi) emettano un lamento, sia pure flebile,
vuoi vedere che l'unico, che debba cadere vittima del rigorismo morale è
proprio l'uomo di strada?
A Bari si dice, "il cane mazzo".

Uno, cui si può rimproverare, come unico torto, quello di non essersi
preso le mazzate in silenzio?

Sì, avete capito bene.

Gli autisti sopportano, per lavoro, un perenne clima di violenze,
insulti, arroganza.
Come se non bastasse la delinquenza nostrana ed i carichi di
vandali, scippatori ed altra tanta brava gente,eticamente confusa,
adesso caricano gli extracomunitari dei centri di accoglienza che
sporcano, gridano, infastidiscono gli altri viaggiatori,rubano
e molestano le donne.

Si assiste a scene assurde, le condizioni di viaggio sono diventate
intollerabili ed i passeggeri finiscono sempre con il prendersela
con il personale addetto.

Per il principio di gravità che spinge dall’alto verso il basso,
le incazzature scivolano verso chi è più debole di noi, fin quando
il travaso si arresta all’ultimo degli ultimi, come l’IVA, che
tutti scaricano ed uno solo paga.

Allora torniamo al nostro uomo di strada, incarnato dall’autista,
il quale, rappresenta, in questa circostanza, il tartassato medio;
mentre il “cane mazzo” è il somalo (concediamoglielo).

Cerchiamo di visualizzare la scena e seguiamolo con una
videocamera virtuale ieri mattina.

L’impiegato si è alzato la mattina molto presto, sicuramente abita
in periferia o in un paese limitrofo di Bari.

Forse ha dormito male, perché le prostitute vicino casa
facevano schiamazzi e lui non riusciva a dormire, pensando alla
prossima rata del mutuo da pagare, per una casa che sta perdendo il
valore sul mercato, da quando sono venuti ad abitare “questi neri!
Che poi gli americani hanno Obama e noi ‘sti morti di fame, che ci
rubano il lavoro! Nelle ditte esterne assumono solo extracomunitari.

Altro che quelli fanno i lavori che gli italiani non vogliono!
E mia sorella che pulisce il culo alla vecchia di fronte ha
un’elemosina e quando ha detto alla signora di rimborsarle almeno
il prezzo del biglietto, quella ha risposto – O così o vattene.
Che ho già trovato una albanese che prende di meno e resta tutte
le notti!“.

Si è alzato presto, ma ha già in bocca il cattivo sapore, perché ha
già dovuto ingoiare la prima cucchiaiata di merda della giornata.

Perché la vita del barese medio non è propriamente all’insegna di
cene esclusive, zoccole e cocaina.

Allora sì, l’autista è incazzato di suo.
Forse è più oppresso del solito dal fardello della sua quotidianità
e chissà quante volte è già andatosu e giù nel corso della calda
mattinata barese.

Forse è separato ed è tornato a vivere a casa dei suoi, forse il
giorno prima ha scoperto che deve affrontare una spesa imprevista,
che gli sballa tutto il misero budget.

Forse ha solo le tasche piene di guidare un carro bestiame, che
puzza come un letamaio, dove le persone lo insultano, ritenendolo
colpevole dei disagi della corsa.
E ci si mettono pure questi extracomunitari:
“Madò autista. E vedi a questi! Ma perché li fanno venire?”,
“E noi dobbiamo pagare il biglietto. E questi mica pagano”,
“Santa Misericordia, che puzza: Non è che ci mischiano qualcosa?!”

Insomma: scene di una mattina qualunque.

Ma questa non è una mattina qualunque.
Forse è l’ultima mattina del lavoro da autista del nostro barese
tartassato.
Che ha fatto? È sbottato.
Ha visto accanto a sé uno su cui scaricare l’IVA.

Scommetto che gli altri passeggeri lo incitavano, mi sembra quasi
di vederli. Perché la folla è selvaggia e si eccita con la
violenza.

Insomma questo ha uno scatto d’ira, di frustrazione come Michael
Duglas in un “Giorno di ordinaria follia”: ci sarebbe quasi da
capirlo. Una vita così, un giorno dopo l’altro, per due soldi
abbruttirebbe anche un santo.

Invece per costui si esige la punizione massima per un
lavoratore: il licenziamento in tronco.

In effetti chi sbaglia paga.

Dopo tutto è il criterio che vige in Italia, per tutti.

Ci vogliamo dimenticare quanto duramente hanno pagato i
responsabili del crac Parmalat? E sì che questi galantuomini
avevano commesso un peccato veniale: avevano solo azzerato
i risparmi di una vita di migliaia di lavoratori!

Ma quelli sono signori, forse si preoccupano delle sorti dei
bambini africani poveri attraverso le loro fondazioni, non sono
degli sporchi razzisti, loro!
Quando c’è da fottere qualcuno e da ricavarci, non stanno mica
a sottilizzare sul colore della pelle.

L’autista ha commesso un errore imperdonabile: un ceffone o
un pugno ad un cittadino italiano costituiscono una banale
lite, nelle peggiore delle ipotesi punibile con una sanzione
amministrativa; le stesse lesioni provocate ad una persona
di nazionalità diversa, dal diverso colore della pelle
costituiscono un crimine contro l’umanità da punire con
la morte sociale, cioè la perdita del lavoro.

Chi è il cane mazzo adesso?