mercoledì 7 ottobre 2009
7 ottobre 2006 uccidono Anna Politkovskaja
di Paola Borraccino
Efraim Medina Reyes, scrittore colombiano pubblicato anche in Italia, in un
articolo intitolato “La seconda regola” enuncia quello che, secondo lui,
è il compito di ogni scrittore: aiutare le persone a
prendere coscienza del mondo, stimolare la
loro capacità di discernimento e fornire elementi di giudizio;
perché scrivere significa assumersi una responsabilità.
Dall’altro lato, invece, ci sono coloro che, con atti, scritti,
discorsi, esternazioni ed omissioni fanno quanto è in loro potere
per impoverire la percezione di chi legge creando e alimentando
una vera e propria industria, che produce e vende schifezze per
ingrassare i mammiferi e farli sprofondare ancora di più
nell’incoscienza.
Il fine non dichiarato è quello di uccidere la Bellezza concreta
e non concreta del mondo.
Mi vengono in mente le parole di Peppino Impastato, che nel film
“I Cento passi” Luigi Lo Cascio recita quando dall’alto di una
collina, ammira il paesaggio siciliano deturpato dalle costruzioni
abusive, laddove si dice che ci si abitua alla violenza quotidiana
e che l’unica salvezza è riposta nella forza redentrice della
Bellezza, ma bisognerebbe prima insegnare alle persone a
riscoprire la Bellezza del mondo: la bellezza della verità,
dell’onestà, della legalità, del rispetto e del vero onore.
Quando lessi questo articolo, pubblicato dalla rivista
“Internazionale”, nell’aprile 2007, Anna Politkovskaja era
morta da circa 7 mesi ed io pensai proprio a lei e a pochi altri,
come portatori di verità.
Quando si incontra la Verità si capisce che il Relativismo gnoseologico
è l’aberrazione della Ragione: non esistono versioni differenti,
la verità è una o non è. È immediatamente percepibile e riconoscibile,
ecco perché esistono espressioni come verità lampante.
Tutto ciò che nega la Verità richiede truppe cammellate di avvocati
e di specialisti: essi devono spiegare, precisare e perorare.
Alla fine differenze, che inizialmente erano nettissime,
contraddizioni stridenti, incongruenze enormi si conciliano
in un unicum indistinto, dove tutto scolora in labili
sfumature.
Si pensi alla sbobba mediatica che ci propinano da mane a sera,
in cui convergono le parallele e gli opposti si toccano, in cui
tutto è minimizzato e mescolato, tra urla e siparietti beceri,
cui si aggiunge un po’ di psicanalisi da parrucchiere, il parere
dei soliti esperti e cenni brevi dell’universo.
A furia di ingoiare questo pastone, come scrive Vittorio Giacopini,
siamo sempre più assuefatti, complici, imbolsiti, siamo un po’
tutti sotto anestesia.
Io dico semplicemente che Anna Politkovskaja è morta da tre anni
e noi tutti siamo un po’ più soli, ma questa non può essere
una scusa.
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